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Kharkiv, il Terzo Paradiso resiste: tre voci per una pace che si costruisce insieme

La città ucraina di frontiera e di resistenza ha accolto il "Giubileo della Speranza", iniziativa promossa dal Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (MEAN), come un segno tangibile di dialogo e rinascita. Sullo sfondo del Terzo Paradiso, studenti, docenti e attivisti hanno condiviso gesti e parole di pace, trasformando l’arte in un linguaggio comune capace di unire luoghi e persone distanti. Abbiamo raccolto le voci - in un'intervista tripla - di Angelo Moretti, portavoce del MEAN per la missione in Ucraina, Doriano Zurlo, coordinatore della spedizione, e Alessandro Alliaudi, ambasciatore Rebirth/Terzo Paradiso, per riflettere sul significato di questa esperienza: la pace come scelta quotidiana, preventiva e creativa.

Terzo paradiso

In una Kharkiv ferita ma non arresa, l’arte si è fatta presenza viva, corpo collettivo, gesto politico e spirituale in occasione del Giubileo della Speranza, iniziativa di nonviolenza attiva promossa dal Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (MEAN) tenutasi dal primo al 5 ottobre. L’arrivo della delegazione del (MEAN), composta da oltre cento attivisti italiani ed europei, ha trasformato l’Università di Economia Urbana Beketov in un luogo simbolico di incontro: uno spazio dove il dialogo è diventato la forma più alta di resistenza. Qui, è stato realizzato uno speciale Terzo Paradiso (come riportato in un nostro precedente articolo): studenti e artisti ucraini hanno tracciato il simbolo trinamico come segno di pace che attraversa i confini, unendo chi crea, chi educa e chi sceglie di esserci nonostante la paura. L’opera, ispirata a quella di Michelangelo Pistoletto, si è incarnata in una realtà dove la guerra è quotidiana, trasformandosi in un invito concreto alla pace preventiva: quella che nasce prima del conflitto, nella responsabilità delle relazioni umane e nel coraggio della vicinanza. Tra le aule danneggiate dai bombardamenti e i volti dei giovani che continuano a studiare e a disegnare, la testimonianza dei protagonisti del Giubileo diventa un racconto di umanità attiva, di arte che genera futuro. Per scoprire questa operazione di arte, creatività, armonia e solidarietà costruita e orchestrata da Paolo Naldini, direttore di Cittadellarte, diamo voce ad Angelo Moretti, del Project MEAN, Doriano Zurlo, referente della comunicazione del GIubileo in Ucraina, e Alessandro Alliaudi, ambasciatore Rebirt/Terzo Paradiso: in un'intervista tripla hanno restituito la forza di un’esperienza che intreccia fede civile e azione concreta, ricordando che costruire la pace non è un atto straordinario, ma un esercizio quotidiano di presenza, empatia e responsabilità.

Il “Giubileo della Speranza” nasce in un Paese ferito dalla guerra. Cosa significa portare un messaggio di pace e speranza proprio a Kharkiv, così vicino al fronte? Il simbolo del Terzo Paradiso, che unisce elementi opposti generando armonia, in che modo ha dialogato con la realtà della guerra in Ucraina?
Angelo Moretti - Dimentichiamo spesso che il corpo è una tecnologia irripetibile e straordinaria, non solitaria. Non basta mettere "like" alle cause in cui crediamo, altrimenti il nostro sostegno nemmeno lo avverte. Il corpo deve muoversi e mobilitarsi quando crede nelle cause. E, nel caso dell’Ucraina, non possiamo rimanere indifferenti: è un corpo prossimo a noi, una terra raggiungibile. La Global Sumud Flotilla, per esempio, ha fatto un'operazione straordinaria, ma ci sono voluti più di 20 giorni di navigazione per arrivare nelle acque vicine a Gaza. Noi in un giorno e mezzo siamo arrivati in Ucraina. La vicinanza degli Europei al Paese in questione è dunque dovuta con la presenza fisica e non soltanto con le dichiarazioni. La società civile si distacca dall'idea che possa essere impegnata nella pace, perché pensa che sia tutta una situazione che possa essere decisa solo dai potenti e dagli eserciti. Ma se la pace viene solo determinata dalle forze in campo è probabile che non ci sia futuro: di fatto, se una potenza nucleare si batte contro una non nucleare, sarà soltanto un discorso di forze sperequate e ingiuste a creare le condizioni di tregua. Nel nostro caso possiamo essere centinaia, migliaia, milioni di persone a dare un contributo di altro tipo, visto che ci vuole poco ad arrivare in Ucraina.

Doriano Zurlo - Si va in Ucraina per sentirsi vivi. Finché stiamo qui a chiacchierare è come se non prendessimo in mano la nostra vita: le situazioni vanno affrontate, vanno conosciute. Vale la pena fare un sacrificio, se non altro per conoscere la società civile: in Ucraina ci sono persone che vivono come noi. Per quanto concerne il Terzo Paradiso, lo ritengo un'opera straordinaria, meravigliosa. Lo dico da pubblicitario abituato alla sintesi visiva, al segno efficace. Michelangelo Pistoletto è intervenuto su una figura, quella dell'infinito, che non sembrava ulteriormente modificabile ed è riuscito a farne un simbolo di grande spessore e significato. Ho anche trovato incredibile, fantastico, il fatto che l'artista abbia registrato un videomessaggio pieno di coinvolgimento personale per degli studenti ucraini di un’università a noi sconosciuta. Nessuno di noi sapeva neanche dove fosse Kharkiv prima dell'invasione russa, a parte i lettori amanti di Varlam Tichonovič Šalamov o di altri grandi scrittori russi. Ho trovato questa connessione molto significativa: da una parte un gigante dell'arte contemporanea e dall'altra degli studenti che disegnano con matite e pastelli, che non hanno neanche chissà quali strumenti. Il disegno del Terzo Paradiso in Ucraina si è come incarnato, non è rimasto solo un simbolo, ma è diventato un segno che rappresenta, per me, nel primo cerchio esterno Cittadellarte a Biella e in quello opposto l'università di Kharkiv; insieme danno vita al cerchio centrale, che rappresenta la speranza - nutrita da tutti - di una pace prossima. Naturalmente voglio ringraziare il direttore della Fondazione Pistoletto, Paolo Naldini, che ha avuto l'idea di questo improbabile rendez-vouz artistico in quella città per noi ancora troppo remota, che storicamente rappresenta la porta Est dell'Europa.

Alessandro Alliaudi - Mi riaggancio a quello che raccontava Angelo: mi ha stupito la facilità con cui si può arrivare in Ucraina. Non c'è bisogno di visto, è un viaggio semplice ed economico. Insomma, possiamo e dobbiamo andarci. Tutte le persone che abbiamo incontrato ci hanno trasmesso l'affetto e l'importanza di questo nostro atto di essere lì in presenza. Ovviamente i rischi ci sono, ma pensare che loro vivono tutti i giorni il pericolo fa riflettere. In questo momento in cui sembra che ci sia un po' di presa di coscienza generale, di mobilitazione, spero che si riattivi anche l'attenzione sull'Ucraina; magari azioni come quelle del MEAN potranno ispirare altri a muoversi in questo senso.
Sul simbolo trinamico, invece, è per me molto legato alla
sostenibilità, da intendersi sia come cura verso il nostro pianeta, ma anche declinandola in ambito ambientale, culturale e sociale.

In un contesto di distruzione e paura, che valore assume la scelta di usare l’arte come strumento di resistenza e dialogo?
Alessandro Alliaudi - L'arte e la pace preventiva sono fondamentali: la prima può aiutare ad attuare la seconda, perché invita a guardare il mondo con occhi diversi. Il compito dell'artista in questo senso è aiutare chi gli sta intorno, la società in cui vive, ad avere una visione diversa: anche se oggi può sembrare impossibile arrivare a una vera pace profonda tra i popoli, il creativo può tracciare una linea di speranza.

Doriano Zurlo - L'arte ha a che fare con la bellezza, anche quando la contesta. La guerra, invece, ha a che fare sempre e solo con la bruttezza. Da un certo punto di vista fare arte è già un modo per fermare la guerra. Un messaggio comunicato in qualche modo anche dallo stesso Pistoletto.

Angelo Moretti - L'arte è un veicolo di speranza: se si riesce a "produrre" anche durante la guerra è possibile alzare la testa sul domani. Per contrastare un conflitto non contano solo la cronaca, la denuncia, la raccolta di informazioni, ma anche l'arte, perché consente di avere una leggerezza unica. Affidarsi a un rifugio creativo e un'idea artistica della vita aiuta ad avere un pensiero positivo sul futuro che non dipende dai rapporti di forza del campo.

Qual è stato l’impatto emotivo e umano dell’incontro con studenti e docenti dell’Università Beketov? Rivelate un momento o un gesto simbolico vissuto durante l’evento che vi rimasto impresso, e che secondo voi incarna lo spirito del Terzo Paradiso?
Alessandro Alliaudi - Alla fine del mio intervento che ha chiuso l'incontro in università, ho proposto a tutti di fare un Terzo Paradiso prendendoci per mano. Quello è stato veramente un momento simbolico, durante il quale fisicamente ci siamo mescolati e toccati e, come sempre quando si fanno performance simili, tutti sono entrati in contatto col prossimo; da quel momento i presenti hanno iniziato a dialogare con più armonia. Mi ha colpito, inoltre, l'accoglienza che ci hanno riservato gli studenti e professori. Ci hanno mostrato l'intero dipartimento e alcune aree bombardate in ricostruzione. Fa effetto vedere gli spazi scolastici devastati, ma, così come nelle strade, loro hanno fatto un grandissimo lavoro di ricostruzione, resiliente nel vero senso della parola.

Doriano Zurlo - A me ha fatto tenerezza vedere, in un contesto di devastazione, le studentesse che, con i loro cavalletti, disegnavano con matite e acrilici. L'arte era in mezzo alla guerra. Pensa anche che si trovavano in università apposta per noi, visto che con la guerra in corso le lezioni sono perlopiù da remoto. Mi ha colpito, inoltre, l'intervento del rettore dell'Università Beketov: si diceva stupito che noi Italiani fossimo lì, in presenza con loro. Ha spiegato, anche nelle vesti di ex soldato, che non c'è nulla di più mostruoso della guerra: distrugge corpi, sentimenti, speranze, idee e passioni... spegne tutto. A suo avviso, però, c'è qualcosa di ancora peggiore della guerra, ed è l'indifferenza. Ecco, in questo passaggio mi ha toccato: ha confidato che noi, presenti in quel momento con l'arte di Pistoletto, gli abbiamo fatto capire che esiste ancora una parte di mondo che non è indifferente alle atrocità. Abbiamo dato speranza.

Alessandro, nelle vesti di ambasciatore Rebirth/Terzo Paradiso, come si traduce concretamente la visione di Pistoletto in un contesto di conflitto o vulnerabilità come quello ucraino? Come costruisce un ponte tra gli artisti, le istituzioni e le comunità locali in un territorio martoriato?
Alessandro Alliaudi - È proprio in situazioni e luoghi come l'Ucraina che risulta più importante e significativo portare il Terzo Paradiso, oltre alla pace preventiva. Quest'ultimo concetto andrebbe diffuso ovunque, anche dove già c'è pace, lavorando al fine di mantenerla. In un posto del genere aiuta a sperare, a capire come costruirla questa pace. Si può così comprendere come da una situazione difficile si possa dar vita a una forza generativa anche attraverso l'arte per riuscire a creare qualcosa di nuovo e di migliore: a volte persino da situazioni brutte e terribili può nascere un fiore di speranza. 

Angelo, focalizziamoci sul ruolo del Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, che lavora da tempo per costruire ponti nonviolenti in zone di crisi. Come è nata l’idea e quale impatto ha avuto il “Giubileo della Speranza” in Ucraina?
Angelo Moretti - Nasce dall'idea che il Giubileo sia un anno santo che ha centralità a Roma. L'idea era dare centralità a un'altra terra che non fosse la capitale, ma semplicemente una zona colpita dal dolore. Non può esistere una differenza tra il Giubileo vissuto come un pellegrinaggio e il pellegrinaggio vissuto come andare a fare visita ad una persona che sta soffrendo. Il rischio che si corre è che il pellegrinaggio a Roma diventi una mera festa, ma in realtà nasce come occasione di riposo, di fine guerra, di liberazione dei prigionieri.
Così ci siamo recati nella città metropolitana più vicina al fronte per lanciare un messaggio forte: se un popolo sta vivendo un dolore, noi, come si diceva poco fa,
non possiamo rimanere indifferenti. Chiaramente è anche un modo per attirare attenzione, perché il Giubileo è un evento sotto i riflettori mondiali, non solo cattolici. La sua particolarità, in questa occasione, è che è stato autoconvocato: non è stato organizzato dai rappresentati religiosi, ma da noi laici chiamando la chiesa cattolica a essere con noi. Il Giubileo è stato anche sport, arte e cultura e, in generale, festa: pensare all'intrattenimento in Ucraina può risultare folle, eppure oltre ai beni di prima necessità sono importanti anche i momenti di svago e condivisione. Non ci limitiamo a mandare aiuti a distanza, ma stiamo in mezzo al problema contribuendo a risolverlo, cercando con gli Ucraini le soluzioni.

Doriano, qual è, a tuo avviso, il ruolo dell’Europa di fronte a questa forma di pace partecipata, che parte dal basso e usa la creatività come linguaggio comune?
Doriano Zurlo - L’Europa dovrebbe incentivare e finanziare questo tipo di azioni. Noi abbiamo messo i nostri soldi per questo progetto: non ci paga nessuno per fare i pacifisti, come invece a volte si asserisce. Credo che bisognerebbe avere un'attenzione particolare per questo tipo di iniziative perché incarnano lo spirito più vero e più profondo dell'Europa. Mi auguro che il nostro continente si esprima molto con iniziative di questo tipo, che nascono dal basso. C'è poi il tema dei corpi civili di pace, cuore del movimento di azione non violenta, che andrebbe sviluppato.

Offriamo uno sguardo congiunto verso il futuro. Come possiamo non limitarci a essere spettatori solidali di forme di rinascita come l'iniziativa in Ucraina e diventare “creatori di pace preventiva” nel nostro quotidiano?
Alessandro AlliaudiIn primis, come dicevo all’inizio, si possono dare una mano direttamente in Ucraina. È semplice andarci, però il viaggio e l’esperienza vanno presi con molta serietà e serve un'organizzazione ad hoc. In secondo luogo sottolineo la bellezza del nostro gruppo, che ha avuto un morale alto dall'inizio alla fine del viaggio; le persone che abbiamo incontrato l'hanno sentito, quindi è stato bello anche portare un'aria diversa, un sentimento positivo in quelle zone. Inoltre, come ho affermato durante il mio intervento all’università, può risultare complesso parlare di arte e pace in un Paese in guerra. Eppure, l’arte apre prospettive nuove, alimentare ogni scintilla di creatività significa aiutare a generare pace.

Doriano Zurlo - Dobbiamo partire dalla vita quotidiana, imparando a dialogare in modo diverso, anche sui social network che sono teatro di polarizzazioni e posizione fortissime. Già da qui muoviamo i passi per non fare la guerra. È anche da questi comportamenti, infatti, che nasce il seme del conflitto: non dobbiamo pensare che la violenza sia solo “colpa” degli altri, di chi ha il potere, perché è un tema che riguarda e tocca tutti. Occorre dunque costruire pace in ogni momento e con chiunque.

Angelo Moretti - Innanzitutto dalla pace non puoi arrenderti. Poi bisogna avere la consapevolezza che la guerra si fa in due modi: con i droni e con la manipolazione delle informazioni, anche tramite fake news. Dobbiamo tutti difenderci da questo secondo periglio. Come? Attenendoci sempre ai documenti ufficiali quando vogliamo comprende ciò che sta accadendo, non ascoltando le voci dai social media, che tendono sempre a polarizzare o strumentalizzare ogni accadimento. Nel nostro quotidiano, avvalendoci dei principi della pace preventiva, possiamo sminare queste insidie e dare il nostro contributo. In Italia, per esempio, abbiamo una presenza massiccia sia di Ucraini sia di Russi: partiamo dal basso, dalle relazioni e dai dialoghi di tutti i giorni, dall’esercitare la non violenza attiva come forma di difesa collettiva dei popoli oppressi. È così che si cambia il mondo.

Pubblicazione
30.10.25
Scritto da
Luca Deias