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Il respiro delle erbe, il profumo di Artemisia, la botanica in bottiglia: la (nuova) vita di Cascina La Grà

Continua su Eco di Biella la rubrica "Locale, naturale, stagionale by Let Eat Bi", che mette in luce per tutto l'anno le produttrici e i produttori del mercatino, proponendo anche ricette e approfondimenti su temi ambientali e legati al mondo del cibo e dell'agricoltura. Riscopriamo l'ultima eccellenza posta sotto i riflettori: Cascina La Grà.

In Valle Elvo, ai margini di un bosco che profuma di castagni e Artemisie, Francesca Castagnetti e Stefano Lino hanno trasformato un incontro casuale in un progetto di vita: Cascina La Grà. Dopo anni trascorsi tra fabbriche, vigneti, esperienze internazionali e studi sulle piante, si sono ritrovati nello stesso desiderio di terra, ritmo lento e conoscenza profonda del mondo vegetale. Oggi coltivano, raccolgono e trasformano erbe officinali e spontanee con un approccio che unisce tradizioni antiche e ricerca scientifica, dando forma a un modello agricolo che è allo stesso tempo rifugio, laboratorio e visione. Il loro primo vermouth, 7 Artemisiæ, ha già conquistato una medaglia d’argento ai World Vermouth Awards 2025, mentre la loro presenza al mercatino Let Eat Bi è diventata occasione di racconto, scambio e comunità. Cascina La Grà, però, è solo all’inizio: nei loro sogni ci sono nuovi vivai, pascoli da recuperare, un giardino didattico e nuovi liquori che sappiano custodire la forza vitale delle piante di montagna.

Francesca e Stefano, le vostre storie personali sembrano correre parallele per anni, finché non si sono incontrate in Valle Elvo. Qual è stato il momento in cui avete capito che i vostri percorsi potevano diventare un unico progetto di vita? Quanto delle vostre esperienze precedenti vive oggi dentro Cascina La Grà?
L’abbiamo capito molto velocemente poco dopo esserci conosciuti sinceramente!
S: Francesca mi aveva contattato per un consiglio su come avviare un’azienda agricola di piante officinali di montagna, nel momento in cui Cascina la Grà stava ufficialmente partendo. Lì ci siamo conosciuti e...ora siamo qui insieme!
F: Già, in quel periodo ero da poco rientrata da 12 anni di esperienze in giro per il mondo e mi ero decisa a cercare casa in valle, applicare tutte le conoscenze raccolte e dedicarmi a progetti di divulgazione sulle piante.
S: Quando ci siamo conosciuti stavo mollando la fabbrica, avevo preso una decisione drastica di cambio vita. Ogni mia esperienza, dallo scoprire un’inclinazione per l’agricoltura grazie ai lavori fatti durante una parentesi in Australia e in varie vigne del territorio, al voler trovare un’alternativa al lavoro dipendente, ha plasmato la mia visione per Cascina la Grà.

Da cosa nasce la fascinazione per le piante officinali e le spontanee? È più un sapere ancestrale, una questione scientifica, un legame emotivo o una combinazione di tutto questo?
Decisamente una combinazione. Ci piace ispirarci ai saperi e alle tradizioni antiche, ma anche leggerci gli ultimi studi scientifici su questa o quella pianta. È incredibile vedere come tanti dei saperi ancestrali siano costantemente validati anche a livello scientifico. Periodicamente dobbiamo aggiungere mensole in sala per i nuovi libri sulle piante che non ci bastano mai…

Sulle orme delle vostre competenze e passioni, qual è la pianta o la famiglia botanica che vi rappresenta di più? 
A casa abbiamo 4 stampe originali di una versione del ‘600 del libro di Mattioli - la prima e grande raccolta in Europa sulle piante officinali e i suoi utilizzi - appese alle pareti, con le piante che ci rappresentano di più: Nepeta cataria e Tanaceto per Stefano e Carlina ed Edera terrestre per Francesca.

Nel vostro lavoro si può constatare un equilibrio tra antichi saperi e sperimentazione. Come convivono tradizione e innovazione nella vostra quotidianità agricola?
F:
Essere venuta a contatto, grazie all’etnobotanica, con culture indigene ancora legate ai ritmi delle stagioni e a usi ancestrali mi ha fatto comprendere quanto sia importante riappropriarci di questi saperi maturati in secoli di convivenza di un popolo con un particolare ecosistema, anche leggendoli attraverso le scoperte più recenti. 
S:
Assolutamente. Possiamo dire anche che ciò che facciamo si basa su un’osservazione profonda della natura, necessaria nel nostro campo perché molte delle piante che coltiviamo si sarebbero tradizionalmente raccolte spontanee. Fondamentale è stato un corso fatto qualche anno fa che mi ha permesso di studiare le pochissime nozioni sulla coltura delle officinali, purtroppo l’informazione a riguardo è limitatissima se messa a confronto con il mondo delle orticole, per esempio.

Il vostro vermouth “7 Artemisiæ” si è aggiudicato il secondo posto ai World Vermouth Awards 2025. Cosa ha significato per voi questa medaglia d'argento? Quali sono i segreti di questa vostra eccellenza frutto di ricerca scientifica, pratica agricola, sensibilità aromatica e territorio?
La medaglia ha significato una piccola lacrimuccia di felicità appena ricevuta la notizia: era il nostro primo prodotto nel mondo dei liquori ed era appena stato imbottigliato! Una soddisfazione enorme, inimmaginabile. Erano anni che Stefano si immaginava questa ricetta, e siamo riusciti a dargli un gusto unico grazie proprio a una “sensibilità aromatica” - come hai detto tu - frutto di tante ricerche sui libri e tra i campi e le montagne. Abbiamo riscoperto piante un po’ dimenticate e provato a coltivarle. Esplorato pietraie in alta montagna alla ricerca di quel particolare fiore. La parte botanica è altamente ricercata e curata, ogni singola foglia viene pulita a mano per far finire nel prodotto solo le parti più aromatiche.

Poniamo sotto i riflettori anche un altro protagonista: il vostro cane Timo, che immagino sia parte integrante del vostro progetto. Che ruolo ha nella vostra vita quotidiana e professionale? 
Timo ha un ruolo fondamentale: ci ricorda di staccare a fine giornata e di goderci un po’ i boschi e le montagne! È un fedele compagno durante le raccolte spontanee ed è molto divertente vedere come segue Stefano tutto il tempo mentre taglia l’erba tra i filari. Stiamo provando a insegnargli a togliere erbacce ma non ci siamo ancora riusciti!

Francesca, tu hai un ruolo anche all’interno di Let Eat Bi. Come si intrecciano il tuo lavoro e la vostra esperienza agricola? Che cosa rappresenta per voi il mercatino del mercoledì? 
F:
Credo che il mio ruolo sia un po’ quello di fare da ponte tra le varie persone che fanno parte di un mercato contadino: chi vende i propri prodotti, chi lo frequenta, chi lo ospita e chi lo organizza. Conoscere questo mondo da più punti di vista mi aiuta a capire quanto sia importante avere una piattaforma per raccontare le storie di chi produce: dietro ogni prodotto c’è una storia che è importante poter condividere, tra di noi e con chi acquista.
S:
Esatto, il mercatino del mercoledì, ma direi tutti i farmers market a cui partecipiamo, sono un modo per raccontare i prodotti, la storia e l’idea che c’è dietro la propria visione. Ma soprattutto è un momento per stare insieme a persone che sono più che colleghi. Persone, amici con cui, oltre a condividere le fatiche e - a volte - le maledizioni di avere un’azienda agricola, ci lega qualcosa di più profondo, una visione del mondo simile .

Infine, concludiamo dando uno sguardo al futuro. Qual è il prossimo sogno agricolo che sperate di trasformare in realtà? Come immaginate La Grà tra 10 anni?
Il prossimo passo, quello più imminente e concreto, è ultimare la ristrutturazione dei laboratori di lavorazione e confezionamento dei nostri prodotti. Seguiranno l’ampliamento delle coltivazioni attuali e del nostro vivaio, la sperimentazione di qualche pianta nuova, un nuovo progetto di recupero e gestione di pascoli abbandonati e agricoltura di montagna e, si dice… un nuovo liquore! Tra 10 anni vediamo Cascina la Grà come un luogo in cui condividere la nostra passione e conoscenza delle piante officinali e spontanee, con un giardino didattico per accogliere visite e corsi in azienda.

Pubblicazione
05.12.25
Scritto da
Luca Deias