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"L'altra scuola": l'Open School del Terzo Paradiso in un articolo sulla rivista Mind

Sul numero di settembre 2025 della testata di neuroscienze e psicologia "Mind" compare un approfondimento a firma del neurobiologo e giornalista scientifico Mattia Maccarone, intitolato "L’altra scuola". L’articolo racconta l’esperienza dell’Open School del Terzo Paradiso, evidenziandone l’approccio innovativo: percorsi di studio personalizzati, libertà di movimento, spazi organizzati in modo dinamico e una forte attenzione all’autonomia e alla responsabilità degli studenti. Sul Journal di Cittadellarte pubblichiamo un estratto, mentre la versione completa è disponibile in abbonamento sul sito ufficiale della rivista.

Educazione

Quello della rivoluzione della scuola è un movimento lento. La scuola italiana fa un'enorme fatica a stare al passo coi tempi e il confronto con gli altri paesi europei non perdona. Secondo una recente indagine OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) l'Italia è sotto la media per quanto riguarda la spesa pubblica per l'istruzione (4% del PIL rispetto al 4,9% dei paesi OCSE), ma anche per il rapporto studenti-insegnanti, fissato in 11 a 1 per la scuola primaria e 10 a 1 per l'istruzione di secondo grado. Non solo. Se si guardano i dati basati su 139 indicatori del Rapporto sui Sustainable Development Goal (SDG), adottati con l'Agenda 2030 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il nostro paese è tra i fanalini di coda in Europa per qualità dell'istruzione scolastica.

Modelli innovativi

L'Open school del Terzo Paradiso è un percorso di studi individualizzato che si completa con tempi e ritmi diversi per ogni bambino, una partecipazione attiva alla costruzione della didattica e un'immersione completa all'interno delle singole discipline seguita da un lavoro di affinamento per maturare lentamente le competenze. Inoltre, al bambino è concessa libertà di movimento e di postura, e gli spazi della didattica vengono adattati a seconda delle diverse esigenze, per esempio cercando il silenzio assoluto oppure l'accompagnamento acustico più adatto. Il tutto all'interno di un quinquennio di lavoro per l'acquisizione delle competenze richieste dalla scuola primaria.

L'Open School del Terzo Paradiso si trova all'interno di Cittadellarte, a Biella, luogo di espressione artistica e culturale voluto dal poliedrico artista Michelangelo Pistoletto, la cui fondazione contribuisce al funzionamento della scuola. Il percorso di apprendimento continuo per bambini tra i 6 e gli 11 anni nasce dalla storia di Cittadellarte e da una semplice domanda alla base di un progetto più ampio: «Come vogliamo che si trasformi il nostro territorio nei prossimi dieci anni partendo dall'educazione dei più giovani?». L'Open School di Cittadellarte rappresenta solo uno dei numerosi esempi che mostrano come un percorso trasformativo della scuola pubblica sia possibile partendo da piccole realtà virtuose. Realtà che delineano modelli innovativi e funzionali a quella rivoluzione scolastica — o per essere più realistici «evoluzione» — richiesta da gran parte della comunità educante.

Un'alternativa che sperimenta

L'Open School può essere considerato un prototipo educativo pensato per bambini tra i 6 e gli 11 anni che si propone come un modello di «scuola civile di territorio», ossia un sistema di apprendimento integrato con le risorse locali. Questo significa inserirsi in una rete di spazi di apprendimento che si espandono e si connettono attraverso scuole, musei, imprese, parchi e altre realtà sociali e culturali.

«Fin da subito ci è stato chiaro che non volevamo un'altra scuola alternativa, ma che il modello complementare doveva essere innanzitutto l'elemento innovativo, proprio perché continuamente alla ricerca di dialogo e scambio con chi vive quotidianamente la scuola statale, siano essi adulti o bambini», spiega Ruggero Poi, responsabile ambienti d'apprendimento della Fondazione Pistoletto. «Per cambiare la scuola non si può escludere qualcuno. Cambiare la scuola significa cambiare il modo di pensare la società. Scuola e città sono infatti reciprocamente essenziali».

Ma che cosa significa, in questo caso, essere «complementare» alla scuola statale? Innanzitutto, i responsabili di Open School partono dal presupposto di non avere tutte le soluzioni alla complessità dell'apprendimento e del fare educazione. La scuola biellese si pone infatti in una posizione di dialogo e di ricerca di confronto continuo con la scuola statale, di scambio di buone prassi, accogliendo indicazioni e suggerimenti per fare meglio e mettendosi a disposizione per condividere intuizioni, sperimentazioni e strumenti didattici materiali e relazionali. Non a caso, organizzatori e insegnanti di questa realtà la considerano un servizio pubblico, e non privato.

Spazio e tempo di apprendimento

Entrando nell'Open School si possono osservare i bambini svolgere attività anche molto diverse tra loro: chi legge, chi scrive, chi risolve un problema matematico, chi ricostruisce uno scheletro umano, chi fa pratica con la lingua inglese e chi si dedica a riprodurre un modello del sistema solare.

  • Al piano terra c'è l'aula di esercitazione, dove i bambini svolgono i compiti che, di solito, sono da fare a casa.
  • Al piano superiore si trovano spazi di lezione intensiva dove accedono piccoli gruppi di lavoro (non per forza della stessa classe), dove l'insegnante fa lezione introducendo nuovi argomenti, ripassando un argomento specifico o facendo attività di valutazione su ciò che è stato appreso.


L'ambiente al piano terra è ricco di 
materiale didattico a cui i bambini possono accedere liberamente, suddiviso per materie come italiano, matematica, inglese ed educazione cosmica, che comprende argomenti di storia, scienze e geografia. I bambini si orientano liberamente verso l'esercitazione che desiderano svolgere, ma la scelta deve sempre essere costruttiva e varia. L'insegnante vigila che questa condizione sia rispettata, segue il lavoro del gruppo supportando la scelta del singolo, e sostiene chi necessita di supporto nell'esecuzione di un compito. In questo spazio, i bambini esercitano e fanno pratica con le competenze apprese fino a quel momento.

«Dalle 8.00 del mattino alle 16.30, che sono gli orari di apertura e chiusura della scuola, ciascun bambino conduce una propria micro-routine individuale all'interno della macro-routine del gruppo classe», spiega Annalisa Perino, coordinatrice pedagogica della Open School.

  • La macro-routine rappresenta il tempo collettivo (accoglienza, condivisione del programma della giornata, canto, pausa di metà mattina, pranzo, congedo).
  • La micro-routine rappresenta il tempo individuale che è differente per ciascun bambino.


Al termine della giornata, il bambino avrà quindi accumulato momenti in comune con altri bambini, momenti vissuti con l'intero gruppo e attività che ha svolto in solitaria a seconda del proprio interesse o necessità.

Questa organizzazione sembra essere molto distensiva per gli studenti, perché non esistono lunghi periodi di inattività o attese inutili. Raramente l'insegnante si rivolge all'intero gruppo, mentre più di frequente parla al singolo, a una coppia o a un piccolo gruppo. Ogni bambino sa di dover portare avanti il proprio lavoro con altri bambini che di solito sono impegnati in attività differenti. Tutto ciò fa sì che la competitività sia praticamente assente. «Ciascuno impara le medesime nozioni, ma in tempi differenti, ordine diverso, e a volte attraverso strade e materiali non identici. Il tempo, quindi, è sempre scandito dai bisogni dei bambini», racconta Perino.

A scuola di responsabilità

Gli alunni della Open School sono seguiti da due insegnanti, sia la mattina sia il pomeriggio. Nel pomeriggio, uno dei due maestri proviene da un ambiente extrascolastico per condurre una specifica attività laboratoriale. E così si alternano due educatrici di circo sociale, un esperto in falegnameria che è anche guida naturalistica e cicloturistica, un artista esperto di multimedialità, un'oceanografa e una musicista.

A casa, poi, i bambini devono fare i compiti solo se non hanno dedicato sufficiente tempo per esercitarsi durante la giornata. Questo meccanismo, fondato sulla responsabilità di portare a termine il proprio lavoro e non sulla punizione, accompagna i bambini ad apprendere che le proprie scelte hanno sempre delle conseguenze. Se, per esempio, un bambino chiedesse di poter svolgere un lavoro sospendendo l'esercitazione che sta svolgendo, saprà che poi dovrà completare il compito a casa.

«Sempre per la scelta di educare bambini autonomi e responsabili, a partire dalle indicazioni del Ministero dell'istruzione abbiamo stilato un programma di studio personale per ogni bambino in base alla classe di appartenenza», spiega Annalisa Perino. Questo programma viene comunicato durante una "cerimonia" di consegna verso fine settembre e i bambini prendono coscienza delle nozioni e delle competenze che dovranno approcciare entro la fine dell'anno scolastico. Ai bambini viene inoltre spiegato che queste competenze possono essere acquisite seguendo diverse vie:

  • grazie alla lezione frontale con il maestro responsabile di materia;
  • in occasione di uno scambio con un compagno (peer education);
  • grazie a una visita istruttiva o un'esperienza personale;
  • oppure a casa.


L'insegnante svolge colloqui con ciascun bambino durante l'anno per condividere i progressi fatti, le lacune da colmare, le competenze da affinare e, in tal modo, concordare una strategia di apprendimento. «Durante questo colloquio, il maestro ha la possibilità di comprendere l'efficacia del lavoro didattico svolto e poter predisporre materiali e occasioni per sostenere la crescita del bambino», racconta Perino.

«La scuola italiana ha un potenziale enorme, ma è bloccata da un sistema troppo burocratico e centralizzato. Ogni decisione arriva dall'alto, senza un reale confronto con chi lavora nelle classi ogni giorno» racconta Manuela Morello, docente di scuola primaria e referente di plesso dell'Istituto comprensivo di Gaglianico, in provincia di Biella. «Ci troviamo a dover applicare riforme pensate a livello ministeriale, spesso senza risorse adeguate, senza formazione specifica e senza tener conto delle esigenze reali dei territori. Le differenze tra le scuole esistono e sono enormi».

Morello sottolinea come la qualità della didattica sia fortemente influenzata anche dalla struttura delle classi e dal numero degli studenti. Il meccanismo di sdoppiamento di una classe della scuola primaria e secondaria, infatti, scatta solo oltre i 27 alunni. Lavorare con classi più piccole (come quella di 14 alunni in cui si trova ora) permette di «sperimentare metodologie diverse e materiali più adatti allo sviluppo delle competenze, non solo alla trasmissione dei contenuti», lasciando più spazio per il confronto e l'apprendimento attivo.

Ma la qualità didattica dipende in primo luogo dagli insegnanti, soprattutto quelli delle nuove generazioni, più preparati sulle metodologie moderne, più vicini agli standard internazionali e più familiari con le tecnologie. Valorizzare queste nuove figure, dare più autonomia alle scuole e superare la resistenza al cambiamento significherebbe molto per la scuola pubblica italiana, che potrebbe così tornare a essere competitiva anche a livello europeo…


Di Mattia Maccarone, AUTORE

Mattia Maccarone è neurobiologo e giornalista scientifico, collabora con quotidiani, periodici e aziende del settore tech in veste di autore e coordinatore. Il suo propulsore è alimentato da una curiosità innata che lo spinge sempre altrove. Ha un cane di nome Oreste.




Per visionare la versione completa dell'articolo rimandiamo al sito ufficiale della rivista:
https://www.lescienze.it/mind/
Pubblicazione
24.10.25
Scritto da
Mattia Maccarone