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Manifestare, esplodere, creare: il collettivo The Glorious Mothers e la scrosciante orizzontalità
Dal 19 al 27 luglio 2025 The Glorious Mothers ha vissuto la residenza per artiste madri con figlie e figli "How to blow up a Manifesto?” presso la Fondazione Pistoletto: un’esperienza unica in Italia che ha intrecciato pratiche artistiche, cura e attivismo, culminata in un open studio. Tra opere, testi e performance condivise, la residenza ha sfidato l’iconografia patriarcale della madre proponendo nuovi immaginari. Scopriamo quanto emerso attraverso un'intervista a due artiste del collettivo.
Grazie all’invito della Fondazione Pistoletto e nell'ambito di UNIDEE Residency Programs, il collettivo The Glorious Mothers ha portato anche quest’anno il suo format di residenza per artiste madri con figlie e figli all’attenzione del contesto dell’arte italiana. Questo tipo di residenza, unica sul territorio nazionale, è stata pensata per sopperire alla mancanza di supporto al lavoro delle madri artiste. La residenza, intitolata How to blow up a Manifesto?, è stata un'occasione per continuare a lavorare alle opere nate negli ultimi due anni e che hanno generato un dialogo fecondo, stimolante, a volte esplosivo. Il concetto di "esplosione", non a caso, ha attraversato questa edizione della residenza come una detonazione. The Glorious Mothers si interrogano infatti su come far saltare in aria l'iconografia della madre nella cultura occidentale patriarcale, proponendo una nuova immagine: scomposta, bestiale, non a norma, queer. Durante i giorni di residenza, l'Ufficio Ambienti di Apprendimento ha inoltre organizzato le attività rivolte alle bambine e ai bambini, collaborando in questo modo alla costruzione di uno spazio al contempo di lavoro e di cura.
Il collettivo
The Glorious Mothers è un collettivo composto da artiste residenti in Italia accomunate dall'essere madri di figli/e in età scolare o prescolare. Il collettivo affronta la questione della maternità e della genitorialità nell’ambito delle arti visive. Attraverso un lavoro politico, linguistico e artistico il gruppo vuole dare voce alle istanze delle madri artiste e di coloro che si riconoscono come primari responsabili della cura di figlie e figli, portando il tema della genitorialità all’attenzione delle istituzioni dell’arte. Attraverso una ricerca teorica e pratica, The Glorious Mothers lavora alla decostruzione di un immaginario della maternità stereotipato e legato all’istituzione familiare eteronormata, provando a rendere visibili i molteplici modi di essere genitori. Dal 2022 il collettivo organizza annualmente una residenza per artiste con figlie e figli come momento di incontro e di ricerca, in cui ai momenti di lavoro del collettivo si affiancano attività rivolte a bambine e bambini. Il gruppo attualmente è composto da Sara Basta (Roma, 1979), Cristina Cusani (Napoli, 1984), Dafne Salis (Roma, 1984), Mariana Ferratto (Roma, 1979) il duo Grossi Maglioni (Francesca Grossi e Vera Maglioni, Roma 1982), Giulia Iacolutti (1985), Caterina Pecchioli (Firenze, 1978) Lorena Peris (Fiesole, 1981) e Miriam Secco (Tradate, 1981). La residenza a Cittadellarte si è inoltre avvalsa della partecipazione di Lydia Pribisova (curatrice), Margherita Perugini (educatrice museale) e Magdalena Jaminska (studentessa dell'Accademia di Belle Arti di Roma).


L'identità
Il collettivo lavora a opere multimediali, installative e performative dove l'autorialità è condivisa e messa in discussione. Al centro della filosofia del gruppo vi è la convinzione che la pratica debba sostenere le singole necessità e il desiderio profondo di ogni partecipante. The Glorious Mothers rifiuta l'efficienza come valore assoluto, esaltando invece la relazione, la cura, il supporto reciproco e il riposo. In questo contesto la partecipazione e il processo sono gli aspetti più importanti della pratica collettiva.
L'open Studio e l'intervista
Venerdì 25 luglio The Glorious Mothers hanno aperto le porte del loro studio a Cittadellarte accendendo la miccia che ha portato a un'esplosione di idee e progetti, tra le opere e testi che le hanno accompagnate e ispirate, in un dialogo aperto con il pubblico, con tanto di merenda come momento conviviale. Scopriamo tutti i dettagli dando voce a due artiste del collettivo, Francesca Grossi e Miriam Secco.


Esordiamo focalizzandoci sull’installazione sonora presentata all’open studio. Un’opera che proponeva risate all'apparenza disturbanti, quasi isteriche. L’effetto di “Ridi, ridi” è stato potente, d’impatto. Cosa si cela dietro questo lavoro?
Francesca - Come collettivo abbiamo iniziato recentemente a lavorare a delle opere comuni, in quanto fino ad ora ci siamo impegnate per far emergere, in forma riflessiva interna al gruppo e durante delle presentazioni pubbliche, le criticità legate al riconoscimento del lavoro artistico e di cura. Grazie agli spazi della Fondazione e allo studio messo a nostra disposizione, abbiamo sperimentato un'altra modalità di relazione tra di noi, finalizzata, in un certo senso, alla produzione. Quest’ultima, però, è sempre legata a delle pratiche che condividiamo quando stiamo insieme; al di là della produzione materiale quindi, sono importanti i momenti improduttivi di scambio e riflessione collettiva.
Quindi anche la risata riflette, nei suoi toni, le emozioni del collettivo?
Francesca - La risata è il risultato di una pratica corporea che abbiamo sperimentato in residenza. È interessante constatare come il suono uscito dai nostri corpi abbia suscitato diverse impressioni. Può sembrare un pianto, quasi un lamento; in alcuni momenti si percepisce lo sforzo fisico che ha generato la risata. Tutte queste sfumature riflettono la complessità della nostra esperienza di artiste e di madri. È una risata perturbante, con lei rivendichiamo non solo uno spazio di piacere, ma anche la possibilità di trasformare uno stato di insofferenza.
L’installazione sonora prende le mosse dal detto “Ridi ridi che mamma ha fatto gli gnocchi”, che abbiamo trascritto su uno striscione, per evidenziare la correlazione tra lavoro di cura e lavoro artistico, entrambi accomunati dalla mancanza di riconoscimento economico. Abbiamo giocato con i vari significati del detto, che nel dialetto romano allude ai soldi guadagnati dalla madre prostituendosi. Dentro l'installazione c'è tutto questo.


In questo lavoro, seppur come collettivo, siete riuscite ad armonizzare le relazioni fra individualità eterogenee. In questo processo qual è stato secondo voi l'apporto della Fondazione Pistoletto? Il contesto di Cittadellarte si è rivelato ispiratore?
Miriam - Il contesto di Cittadellarte ha inciso molto nella facilitazione del nostro lavoro collettivo. È il secondo anno di residenza qui, perciò avevamo familiarità con il luogo e con gli spazi della struttura. Avere a disposizione un grande studio dedicato a noi, mentre i nostri figli frequentavano il centro estivo di Cittadellarte, ci ha messe nella condizione ideale per poter lavorare. Inoltre riteniamo che la specificità della Fondazione Pistoletto, una sorta di piccola comunità, sia in linea con l’idea di cura condivisa che noi portiamo avanti come gruppo; i figli e le figlie hanno vissuto gli spazi quotidiani (camere da letto, cucina, luoghi per giocare) a stretto contatto con gli altri ambienti della Fondazione (il museo, lo studio, ecc.), realizzando anch’essi che si trovavano in un contesto d’arte contemporanea, pur sembrando una casa diffusa.
Se doveste indicare entrambe una parola chiave che è a vostro avviso associabile a quella che è stata l'esperienza della residenza a Biella, quale scegliereste?
Miriam - “Orizzontalità”.
Francesca - “Scrosciante”, perché mi fa pensare alla risata e anche alla presenza dell'acqua che è sempre stata un elemento importante durante le nostre residenze. Ci siamo confrontate spesso su questo tema e nei pressi di Cittadellarte quest’anno ci siamo fatte il bagno al fiume. Poi c’è il suono del torrente che si ascolta dallo studio, anche dalle camere… insomma, il fluire dell’acqua ha sempre accompagnato le nostre riflessioni.
Come accennato, anche i vostri figli hanno “vissuto” la Fondazione attraverso il centro estivo. Quali riscontri avete ricevuto da loro?
Miriam: Sicuramente un feedback molto positivo. Tutti i bambini e le bambine si sono dimostrati/e felici di ritrovarsi in questo contesto comunitario dove si sentono sicuri/e, a loro agio. Allo stesso tempo noi abbiamo avuto la possibilità di svolgere la nostra pratica artistica, in armonia con le esigenze dei nostri figli/e. Le bambine e i bambini hanno apprezzato sia i momenti di gioco più strutturati che i momenti di autogestione.
Un cambio di paradigma quindi: non un mero intrattenimento passivo, ma una coinvolgente e responsabilizzante co-autorialità.
Francesca: Esattamente. Le mie figlie, quest'anno, hanno innanzitutto realizzato di essere dentro un ambiente che è legato all'arte dove possono essere incluse. Inoltre, per loro, i momenti più significativi sono stati quelli della cena, in quanto frangenti conviviali e collettivi.


Torniamo al capitolo finale del percorso, l’open studio. Qual è stata la sua funzione?
Francesca - L'open studio è stato un momento molto utile per noi, prima di tutto per poter osservare il lavoro che stiamo facendo. Inoltre, alla residenza hanno partecipato anche Lydia Pribisova, curatrice con cui abbiamo instaurato un dialogo significativo, Margherita Perugini, che si occupa di educazione all'arte, e Magdalena Jaminska, studentessa dell'Accademia di Belle Arti di Roma venuta per sostenerci con i bambini e le bambine più piccoli/e. Durante l’open studio abbiamo presentato la nostra ultima produzione, ma anche il lavoro creativo che sta portando avanti Margherita Perugini con i nostri figli e le nostre figlie attraverso delle letture e dei piccoli dispositivi di interazione creati da lei. La restituzione finale è stata un’occasione di coinvolgimento per tutte/i nel processo della residenza, attraverso il gioco e la festa.
Miriam - L’open studio ha anche messo in luce le nostre istanze, attraverso la presentazione di immagini e video, con la lettura di un testo che è parte di un manifesto che stiamo elaborando.
In conclusione, diamo uno sguardo al futuro. Sulla scia della residenza a Cittadellarte, quali sono le prospettive del collettivo?
Francesca - Siamo alla quarta edizione della residenza. Le prime erano completamente auto-organizzate, mentre le ultime due a Cittadellarte sono state più strutturate. Ecco, vorremmo dare sempre più forma a una residenza dedicata alle artiste madri in Italia, che attualmente manca.
Miriam - Nel nostro collettivo la cura e il sostegno reciproco ci hanno consentito di esistere come artiste.
Uno dei nostri obiettivi è di costruire un modello di residenza per le artiste con figlie e figli (o caregiver in generale) che metta al centro proprio gli aspetti legati alla cura, affinché si creino le condizioni per portare avanti la ricerca, nonostante risulti complesso, a volte impossibile, sul piano logistico ed economico. Inoltre, stiamo pensando di creare uno spazio fisico di confronto dei collettivi come il nostro, nati a livello internazionale.