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Michelangelo Pistoletto a "Che Tempo Che Fa": identità, spiritualità e responsabilità dell’arte

Domenica 7 dicembre il maestro è stato ospite di "Che Tempo Che Fa" su Canale 9. Dal dialogo con Fabio Fazio un racconto che attraversa autoritratto, prospettiva, religioni e il senso dell’arte oggi. Sullo sfondo, la mostra “UR-RA” alla Reggia di Monza.

Michelangelo Pistoletto

Lo scorso fine settimana, Michelangelo Pistoletto è stato ospite della rassegna domenicale di Canale 9, accolto da Fabio Fazio. Un appuntamento atteso, che ha riportato il maestro al centro di un dialogo pubblico capace di toccare i nuclei più profondi della sua ricerca artistica: identità, specchio, trascendenza, responsabilità dell’arte nella società contemporanea. Nel backstage, prima della diretta, Pistoletto ha scambiato alcune parole con Alessandro Preziosi e ha regalato a Fazio un selfie “allo specchio”, in una sorta di gioco meta-artistico perfettamente coerente con la sua poetica.

L’intervista ha trovato uno dei suoi fuochi nel progetto UR-RA – Unity of Religions, Responsibility of Art, la mostra inaugurata il 1° novembre nella Reggia di Monza, promossa dal Consorzio Villa Reale Parco di Monza e da Cittadellarte. Non un’antologica, come lo stesso artista ha subito precisato, ma un percorso dedicato alle opere che meglio raccontano la relazione tra arte, spiritualità e responsabilità sociale: elementi intrecciati nella visione trinamica del Terzo Paradiso, oggi riconosciuto e sottoscritto da rappresentanti delle principali religioni mondiali.

“Capire perché esisto”: l’autoritratto come origine

Fazio apre con una domanda apparentemente semplice: esiste un filo rosso che attraversa tutta la vita artistica di Pistoletto? La risposta del maestro è immediata: "Per me è stato sempre importante cercare di capire perché io esisto".

La ricerca dell’identità diventa, fin dagli anni della formazione, il movente originario dell’autoritratto, come tentativo primario di verificare la propria presenza nel mondo. L’immagine riflessa è, per Pistoletto, il primo strumento di conoscenza: un modo per “fissare” un sé in continuo movimento.

Proprio da questa esigenza esistenziale nasce il processo che lo porterà, attraverso gli esperimenti sui fondi oro e il passaggio al fondo nero lucido, alla scoperta del potenziale dello specchio. La vernice che si cristallizza, il nero che assorbe e al tempo stesso riflette: elementi che conducono alla definizione del quadro specchiante, una delle invenzioni centrali dell’arte del Novecento.

Così, il racconto tecnico si intreccia con quello simbolico. Se l’oro delle icone antiche rappresentava la trascendenza illimitata, lo specchio introduce una trascendenza nuova, dinamica: non uno sfondo eterno, ma un universo che entra nell’opera attraverso il riflesso del mondo.

Specchio, virtualità e identità: dalla caverna alle immagini digitali

Uno dei passaggi più ricchi dell’intervista è forse il confronto fra rappresentazione antica e immaginario contemporaneo. Pistoletto parte dall’impronta della mano sulla caverna (“la prima opera d’arte”, la chiama) per arrivare a una riflessione sorprendentemente attuale: "Oggi viviamo in un mondo in cui le immagini stanno diventando la nostra continua controfigura, addirittura con l’intelligenza artificiale".

La virtualità non è quindi un’invenzione del presente, ma un tratto costitutivo dell’essere umano: la prima mano impressa sulla roccia è già un doppio, già una separazione fra corpo e immagine. Lo specchio, in questa genealogia, è il punto di snodo: oggetto pratico che l’artista trasforma in uno strumento concettuale di relazione fra identità individuale e realtà collettiva.

Leonardo DiCaprio, Piero della Francesca e Picasso: la prospettiva come racconto

Tra gli aneddoti più vividi dell’intervista c’è quello londinese, in occasione della personale inaugurata il 14 ottobre alla galleria Nahmad Projects. Di fronte alle opere del maestro, Mick Jagger e Leonardo DiCaprio. Con quest’ultimo, racconta Pistoletto, il dialogo è nato quasi per gioco: "Leonardo mi ha detto: tu ti chiami Michelangelo e io mi chiamo Leonardo. Abbiamo qualcosa a che fare col nostro passato".

Da questa battuta, il discorso si apre a Piero della Francesca, alla prospettiva, fino a Picasso. Ed è proprio la relazione fra queste tre figure, un triangolo ideale fra rinascimento, nascita della modernità e reinvenzione della prospettiva con il quadro specchiante, a emergere come chiave interpretativa dell’intero percorso di Pistoletto.

Infatti, se per Picasso l’urgenza era rompere la rappresentazione realistica resa superflua dalla fotografia, per Pistoletto la sfida diventa reintrodurre la figurazione nel cuore dell’arte contemporanea, ma facendole inglobare la realtà stessa: non un’immagine rappresentata, ma un’immagine viva, in movimento.

UR-RA: arte, religioni e responsabilità sociale

Gran parte del dialogo è dedicato a UR-RA – Unity of Religions, Responsibility of Art, curata da Francesco Monico. La mostra, visitabile fino al 31 ottobre 2026, esplora il rapporto fra arte e spiritualità non come ritorno al passato, ma come possibilità di ricucire un legame spezzato dalla fine dell’Ottocento, quando l’arte, complice la fotografia e poi le avanguardie, si è allontanata dal racconto condiviso per rifugiarsi nel cosiddetto “white cube”.

Pistoletto racconta invece come il quadro specchiante diventi una nuova forma di prospettiva inclusiva: "Dentro lo specchio entra la società intera: spazio, tempo, movimento. Io sono la chiave d’accesso". L’artista, con la propria immagine riflessa, riapre un percorso che collega arte, religioni e vita civile. Centrale in mostra è infatti la Carta di Monza per l’Interreligiosità, firmata da autorità delle principali religioni mondiali: un manifesto etico più che spirituale, che individua nel segno trinamico una struttura comune alle diverse tradizioni. Una proposta concreta di responsabilità condivisa, dunque: dell’arte, delle religioni, della società.

“La pace non è statica”: arte e guerra, ieri e oggi

Verso la fine dell’intervista, l’atmosfera cambia. Fazio evoca il tema della guerra, chiedendo al maestro, che ha vissuto il secondo conflitto mondiale, se la situazione contemporanea gli modifichi la fiducia nel ruolo dell’arte. La risposta è lucida: "L’umanità non ha ancora saputo strutturare un sistema di convivenza armonica. La pace non è una staticità: è una dinamica del confronto senza bisogno di uccidere".

Il riferimento ai simboli del potere (aquila, leone, lupo) mette in evidenza la radice “predatoria” che ancora domina molte dinamiche geopolitiche. L’arte, per Pistoletto, può agire come contro-narrazione: uno spazio dove esercitare la responsabilità e la visione, piuttosto che la forza.

Un artista di 92 anni che parla al presente

L’intervista si chiude con un sorriso: Fazio ricorda l’età del maestro, 92 anni. Pistoletto risponde dicendosi “più giovane che mai”. È una frase che può sembrare retorica, ma che in questo contesto acquista un significato preciso: la giovinezza non come condizione anagrafica, ma come capacità di stare dentro il presente con curiosità e apertura. E in effetti il dialogo a Che Tempo Che Fa lo conferma: la sua opera continua a interrogare non solo l’arte, ma il nostro modo di stare al mondo.

Di seguito riportiamo il video dell'intervista completa.

Pubblicazione
09.12.25
Scritto da
Sofia Ricci