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Global March to Gaza - Dispaccio 1

Una narrazione viva, cruda, drammatica: il direttore di Cittadellarte offre una testimonianza dal Cairo, dove si è recato per partire alla volta della "Global March to Gaza", la marcia per la pace di 50 km lungo la costa mediterranea del Sinai a cui hanno aderito 54 Paesi. Il confitto israelo-palestinese con lo sguardo di Paolo Naldini: "Che in Egitto si potesse manifestare con una marcia di migliaia di persone sembra a molti un’idea poco condivisibile. Costituirebbe un precedente e rischierebbe di insegnare alla gente a protestare e pretendere di essere ascoltati".

Terza pagina

Dalle finestre dell’hotel in piena Talaat Harb il Cairo canta le voci delle sue strade, clacson, cani e muezzin.
Siamo arrivati all’aeroporto a centinaia oggi, da parecchi paesi, dovevano essere 54 delegazioni nazionali, per ora non si sa quante si sono presentate su suolo egiziano.
Alla delegazione olandese e tunisina è andata piuttosto male: non solo fermi e lunghe attese, ma tafferugli e manganelli. Un ferito. Per la italiana le cose sono state di diverso segno: qualcuno ha passato 9 ore trattenuto e piuttosto malamente pure, senza servizi, acqua, sedie, e soprattutto la minima spiegazione, e una certa aggressività pure. Altri come me: tutto filato liscio.
A un certo punto è intervenuto il nostro Console, professionale e efficace secondo chi l’ha salutato come un aiuto agognato. Poi qualcuno si è domandato perché non fosse venuto prima di 9 ore.

Ogni cosa, ogni parola e ogni mossa qui in questo momento portano il segno di stratificazioni: uno strato ha un colore e porta a una lettura, ma al di sotto un altro strato racconta scenari molto diversi. E non si sa dove stare, a quale storia aggrapparsi. A volte è più una scelta di parte che una decisone razionale

E ora? Si aspetta.
Intanto si riflette.
Come se l’intera faccenda girasse tutto intorno a questo punto: il documento.
Si tratterebbe della richiesta, l’istanza di autorizzazione alla marcia. Questo è il fantasma che tutti evocano e mai nessuno ha visto.

Questo documento con cui gli organizzatori (della Global March to Gaza) hanno oppure non hanno chiesto l’autorizzazione al governo egiziano di marciare attraverso 50 km lungo la costa mediterranea del Sinai, nello specifico da Al-Arish a Rafah. Appunto, si, parliamo di Rafah, l’inferno sulla terra, un altro, uno di quelli più mostruosi perché legalizzato, un posto dove la gente viene affamata fino allo morte di inedia, ma qui a Rafah succede qualcosa di peggio: una trovata per cui solo l’altro ieri sono stati riportati oltre 60 morti e decine di feriti. Si tratta di una nuova feroce invenzione dell’esercito israeliano; prima ha bloccato gli approvvigionamenti alimentari, chiudendo gli oltre 200 punti di distribuzione del cibo; quindi, ha affidato la gestione a una organizzazione che controlla pienamente: e perché dovrebbe controllarla così radicalmente? Perché poi quello che deve succedere è che diranno ai palestinesi affamati di venire a ritirare il cibo, e quando quelli si avvicineranno, i soldati gli spareranno! Un uomo è stato centrato nell’occhio e alla testa e al petto. I cecchini devono essersi appostati molto vicino. Mi chiedo come funziona nella testa del soldato: che cosa prova in quel momento lì? Quando vede una persona crollare abbattuta, centrata, e morta una frazione di secondo dopo aver premuto il grilletto del fucile?
Anche in questo caso l’esercito israeliano non distingue tanto tra uomini donne vecchi e bambini; sono tutti palestinesi

Il documento, dicevamo. 

Allora: siamo in un momento di soglia, un passo in qualsiasi direzione è un non ritorno. Perciò tutti i protagonisti di questa scena sono incastrati in una posizione molto scomoda: cominciamo dal governo egiziano. Sono notoriamente nemici di Israele e filo palestinesi, è ovvio che prendano una posizione esplicita contro il genocidio e i massacri, come nella dichiarazione uscita ieri; tuttavia anche loro non possono permettersi di irritare l’America, tanto meno ora che al comando c’è un presidente così imprevedibile come Trump. Quindi, è presumibile facilmente che bisognasse ostacolare la manifestazione.

Inoltre: che in Egitto si potesse manifestare con una marcia di migliaia di persone sembra a molti un’idea poco condivisibile. Costituirebbe un precedente e rischierebbe di insegnare alla gente a protestare e pretendere di essere ascoltati. Facile immaginare che il governo egiziano possa avere visto questa cosa come una delle peggiori tegole che potessero capitargli… 

Non sono messe molto meglio le rappresentanze diplomatiche dei paesi stranieri che hanno visto formarsi in casa dei gruppi di decine, a volte molte decine, di loro cittadini intenzionati a marciare fino a Rafah. Da un lato, queste iniziative non possono essere riconosciute perché ledono la sovranità dell’Egitto e instillano il germe della ribellione; dall’altra parte, non si può concepire un’ambasciata di un paese serio che abbandoni i suoi cittadini nelle mani di un apparato di polizia repressiva e pericolosa, come sanno tutti, e gli italiani in particolare a causa dell’assassinio di Giulio Regeni. Bloccata dunque anche la diplomazia internazionale, incastrata in un delicato e pericoloso equilibrio che può cambiare di segno da un giorno all’altro, e in certi giorni come ieri, da un’ora all’altra.

E gli attivisti? Anche qui bisogna scavare per scoprire gli strati. Perché gli attivisti sono comprensibilmente divisi in almeno due tipologie: organizzatori e partecipanti
A proposito dei primi: difficile che non immaginassero che l’Egitto non avrebbe autorizzato la Global March to Gaza. Quindi, si può capire perché non glielo avrebbero chiesto, così pensano molti che sono convinti appunto che questa richiesta non sia mai stata fatta formalmente. Attenzione perché questo è un tema fondamentale, anzi: il tema centrale in questo momento.

Il motivo sarebbe che di fronte a un "no" esplicito, l’intera operazione sarebbe stata automaticamente illegale proprio in base a uno specifico atto del governo, non a una legge che già da prima regolasse una situazione pre-esistente. E non si poteva certo aspettarsi che migliaia di persone di paesi occidentali e di altre regioni del mondo che fino al giorno prima erano cittadini rispettosi della legge (se si voleva una manifestazione allargata al di là dei confini dei movimenti pacifisti attivisti) si andassero a cacciare in un pasticcio come quello, sfidando la polizia egiziana in casa sua!

Potevano gli organizzatori svelare la situazione ai partecipanti? Quanti di loro avrebbero rinunciato? Ecco dunque che anche loro stanno lì, a metà del guado, per così dire. La linea ufficiale, infatti, recita che la richiesta è stata fatta, ma il governo non avrebbe mai risposto formalmente. Purtroppo, però, non si è mai arrivati a mostrare pubblicamente una fotografia di questa richiesta, del documento. Dunque si alimentano le posizioni di chi sostiene che in realtà non esisterebbe, perché non sarebbe stata mai presentata formalmente nessuna richiesta appunto per non ricevere un rifiuto formale. Illazioni? Insinuazioni dei detrattori della Marcia? Ogni strato ha le sue risposte.

Che cosa dire degli attivisti allora? Non saranno anche loro sospesi e costretti a fare come se le cose fossero diverse da ciò che sono? Attendere, e vedere per capire il momento giusto di fare la cosa giusta, la cosa per cui alla fine siamo venuti qui? Oppure, come dice qualcuno, è già questa la cosa? Siamo venuti qui, a centinaia, forse migliaia…
Questi cosiddetti attivisti ammettono di avere sentito voci e sospetti a proposito dell’esistenza del documento. E allora che fare? Tornare a casa? Ma qual è il motivo per cui tutti loro sono qui? 

Molti di loro pensano che lo sterminio dei palestinesi non sia una questione che si possa paragonare con l’importanza della verità o meno ricevuta dagli organizzatori: la chiarezza e il rispetto delle procedure, dicono, sono importantissimi, ma in questa circostanza…
Si chiedono che importanza potrà mai avere per la madre dei bambini massacrati dall’esercito israeliano se gli organizzatori della marcia hanno chiesto o no al governo egiziano di autorizzare la marcia
Così anche loro, anche noi, partecipanti, siamo qui, incastrati in questo gioco in cui nessuno può muoversi per primo, ma nessuno può stare fermo, e nessuno può fingere che l’altro stia fermo.

In merito alla marcia: adesso sono le 7:00 di mattina, i canali Signal già fremono, non si è dormito molto pare, stanotte. L’appuntamento è per le 12:00.
Ci diranno dove più tardi.
C’è chi dice che si parte alla volta di Al-Arish.

Paolo Naldini
Pubblicazione
13.06.25
Scritto da
Paolo Naldini