Cosa possiamo
aiutarti a trovare?
Ricerche suggerite

La Grande Intrapresa dello Statodellarte Demopratico
Unire arte, impresa e società in un’unica visione di trasformazione condivisa superando modelli economici e culturali anacronistici: Paolo Naldini propone in un editoriale una nuova alleanza tra creatività e responsabilità, dove le imprese diventano comunità di pratica capaci di generare valore civile oltre che economico. Nasce così lo Statodellarte demopratico, un progetto che invita tutti a partecipare alla costruzione di un futuro rigenerato dal fare collettivo. "Siamo convinti - ha affermato il direttore di Cittadellarte - che sia ora di rifondare il rapporto tra l'impresa e la società su una base che vada oltre la dialettica storica ereditata da un passato superato dai profondi cambiamenti apportato dalla tecnica, dalla finanziarizzazione, dalla globalizzazione e più in generale dal fallimento del modello di crescita irresponsabile che molti hanno scelto di seguire o in cui ci siamo trovati ingabbiati".
Cittadellarte opera da trent’anni come ponte tra i settori della società aprendo spazi, percorsi, progetti e azioni che sviluppino nelle nostre comunità la libertà e la responsabilità del creare ciò che non c’era.
L’arte è alla radice di quella forza che dispiega campi di possibilità dove avvengono generazione, trasformazione e rigenerazione.
Questa forza si incanala in tutti i possibili contesti in cui gli umani operano, perché essa appartiene alla natura umana. Siamo i meno adatti per natura all’ambiente terrestre, eppure abbiamo imparato a vivere ovunque. Perché la nostra evoluzione non è guidata solo dalla natura, ma anche dalla cultura. Al pianeta naturale abbiamo affiancato il mondo artificiale. Abbiamo rivestito il nostro corpo di una seconda pelle, abbiamo edificato strutture in cui abitare, abbiamo imparato a curarci, proteggerci, coltivare e guidare la natura.
Questa epopea costituisce la intrapresa umana, declinata in miriadi di forme a seconda dei tempi, dei luoghi, delle condizioni materiali, ambientali e culturali in cui si è articolata.
Nel dare forma e forme a questa forza creatrice gli umani si sono sempre uniti in gruppo, le cui dimensioni non superano una soglia numerica che i paleontologi e archeologi ci dicono porsi intorno ai 150 individui, ma che nella gran parte dei casi si mantiene a poche decine; dai clan di cacciatori raccoglitori, stanziali o nomadi, ai primi insediamenti, agli agglomerati di vicinato, ai nuclei famigliari fino alle più variegate attività lavorative, dall’agricoltura alla produzione di oggetti di culto, maschere, indumenti, strumenti di ogni genere.
Questa epopea dell’ingegno umano, alla cui radice si trova l’arte, spinta dalla necessità di sopravvivere in un corpo non sufficientemente adatto, dà vita e forma a ciò che ci ha impegnati e ci impegna da sempre: il lavoro. Questo costituisce parte integrante della nostra identità, sia quando avviene nei modi di produzione che realizzano la nostra umanità, sia quando è invece fonte di alienazione e schiavitù, tutt’altro che assenti nella nostra storia.
Il lavoro produce cose. Ma l’etimo latino (portare innanzi, porre di fronte) non è tanto eloquente quanto quello di lavoro come labour, travaglio, ossia il partorire. Il lavoro genera. Gli umani generano non solo biologicamente, né solo istintivamente, ma anche artificialmente. Anche alcuni altri animali lo fanno, è ormai ben dimostrato. Ma gli umani hanno sviluppato questa capacità oltre ogni altra misura.
Questa attività generativa, il lavoro, come accennato, si organizza o meglio: ci organizza, in piccoli gruppi, a volte fino alla minima dimensione della coppia, anche quando viene poi assunta da strutture composte da migliaia di persone. Ricordo una conversazione con la direttrice delle risorse umane della Siemens, che aveva allora oltre 170.000 dipendenti nel mondo: ebbene, mi diceva che sempre il lavoro è condotto in gruppi che raramente superano le 30 unità, poi aggregabili a ombrello in uffici, dipartimenti, edifici, divisioni fino a ricomprendere la totalità degli appartenenti.
Questi gruppi e sottogruppi, che ho chiamato comunità di pratica, dunque, sono composti prevalentemente da imprese, organizzazioni orientate alla produzione e scambio. Anche se una parte tutt’altro che irrilevante è costituita da organizzazioni vocazionali private e istituzionali pubbliche, e infine ricreative e culturali.
Le imprese dunque costituiscono la struttura portante delle società.
Siamo convinti che sia ora di rifondare il rapporto tra l'impresa e la società su una base che vada oltre la dialettica storica ereditata da un passato superato dai profondi cambiamenti apportato dalla tecnica, dalla finanziarizzazione, dalla globalizzazione e più in generale dal fallimento del modello di crescita irresponsabile che molti hanno scelto di seguire o in cui ci siamo trovati ingabbiati.
Nello stesso tempo dobbiamo riconoscere e valorizzare il fatto che questa storia ha informato il progresso civile, giuridico ed economico dei Paesi che hanno prodotto ricchezza e avanzamento dei diritti e delle condizioni di vita della gran parte della popolazione, anche se troppo spesso accompagnandosi alla rapina e allo sterminio.
Occorre riconoscere che oggi è urgente dare avvio al tempo delle alleanze di fronte alle sfide di sopravvivenza e alle minacce alla stessa architettura di civiltà che abbiamo coltivato per generazioni fondata sui diritti umani naturali, sulla dimensione liberale dell'iniziativa privata, sul primato della legalità.
Occorre non solo riconoscere che la cultura e i valori sociali si incorporano nelle produzioni, nelle filiere produttive ed economiche, apportando valore alle imprese e ai territori, ma occorre oggi consegnare alle imprese, come organizzazioni che raggruppano umani, come comunità di pratica orientate alla produzione di valore, il ruolo fondamentale, cioè di fondamenta, che giocano nella costituzione e mantenimento di una vita collettiva dove il privato e il pubblico si incontrano in infinite riconfigurazioni verso il bene comune.
Questa consapevolezza è il viatico necessario per affrontare con equilibrio e con la massima potenzialità di innovazione (creazione, trasformazione, rigenerazione) possibili le sfide contemporanee che derivano proprio dalla imperfezione del modello di sviluppo economico, politico e sociale che abbiamo perseguito in questi secoli.
L'insostenibilità, l'iniquità, la spregiudicatezza che hanno accompagnato il nostro progresso civico ed economico non possono che essere affrontate con una rigenerazione radicale della nostra visione culturale.
Ed è questa la responsabilità che ciascuno assume rispetto alla grande opera collettiva che è la società.
Cittadellarte ha avviato un programma per fondare e accompagnare questa svolta epocale e condurla insieme a imprese apripista, capaci di coniugare una vocazione che affonda le radici di un passato ricco di valori generativi, un presente in profonda mutazione
Si forgia qui una visione che possa indicare un percorso di sviluppo sia dell'impresa stessa, sia della sua natura di comunità di umani fondata sulla pratica, sia del ruolo che l’impresa di fatto assume come organo di governo di questa comunità.
L’impresa è in questa cornice di visione e progetto un agente di politica pubblica: come tale definisce policies e azioni che influiscono direttamente sui modi di vivere e di convivere che si instaurano nelle nostre società.
Società che sono sempre più interconnesse e complesse e che oggi, diciamolo chiaramente, chiamano con un silenzioso grido d’angoscia alla necessità di dare forma e corpo a una nuova modalità di organizzarci: è giunto il tempo di uno stato dell'arte, cioè un esame di ciò a cui siamo giunti, ma anche di uno Stato come struttura inter-organizzativa che unisce le diverse imprese e comunità di pratica l’una con l'altra sulla base non solo degli scambi e forniture di prodotti e servizi, ma sulla base di un ruolo comune da svolgere nella sfida epocale del pianeta.
Questo Statodellarte nasce dalla Cittadellarte, fondata da una organizzazione non profit nata negli anni ‘90 dalla storia di uno dei massimi artisti contemporanei. Un’organizzazione che ha saputo dividersi e moltiplicarsi unendosi in reti di centinaia di altre organizzazioni e decine di migliaia di persone, ciascuna con le proprie comunità di appartenenza.
Oltre 300 Ambasciatori ci accompagnano in un percorso che non ha timore di dichiarare la sua vera meta: esaudire la promessa di un governo del popolo, di un demos che realmente prenda su di sé la responsabilità e la libertà di determinare se stesso e il rapporto con il pianeta. È il passaggio dalla democrazia alla demopraxia, dove la praxis chiama in gioco e recluta le pratiche diffuse in ogni settore e contesto.
Le comunità di pratica, e tra loro le imprese, sono i governi, dove si parlamenta, si prendono decisioni, si formulano leggi e si dà esecuzioni ai piani stabiliti.
L’unione delle imprese in questa prospettiva e cornice, sul fondamento della forza creatrice e trasformatrice che giunge dall’arte a ogni ambito di applicazione, dà vita, genera e partorisce, la Grande Impresa dello Statodellarte demopratico a cui chiamiamo a unirsi chi vorrà partecipare da protagonista, da autore, a progettare e condurre questa svolta.