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Opera Demopratica Seoul. Notizie dal Cantiere.

Riportiamo l’editoriale di Paolo Naldini, scritto durante il suo volo di ritorno da Seoul. Nel testo, il direttore di Cittadellarte racconta l’esperienza a Camp Greaves, nella DMZ tra Corea del Nord e Corea del Sud, dove oltre 50 partecipanti hanno preso parte a un Cantiere dell’Opera Demopratica, lavorando sui temi di Inclusione, Ecologia, Solitudine, Confini, Cura, Resilienza e Praxis. L’articolo descrive la performance partecipativa del Terzo Paradiso, simbolo di pace preventiva ideato da Michelangelo Pistoletto, e riflette sul significato della demopraxia come pratica concreta di co-creazione e costruzione di comunità.

C’è una striscia di terra tra le due Coree sotto il controllo delle Nazioni Unite, una zona cuscinetto tra i due Paesi in conflitto da 70 anni, anche se vige tra loro un precario armistizio. In questa zona non si può accedere. Pare sia quasi completamente minata. In compenso la mancanza di pressione antropica ha permesso si ricostituisse un ecosistema di alta biodiversità prezioso per gli studiosi e probabilmente gradito alla flora e alla fauna anche se c’è da immaginare che ogni tanto qualche cervo abbia la sfortuna di incontrare la meraviglia dell’ingegno umano e poggiando ignaro la zampa venga sbalzato per aria nel suo ultimo salto su questa terra, spettacolare sì, ma ad un prezzo che nessun cervo sarebbe mai disposto a pagare, anche se certamente si troverebbe qualche umano che pagherebbe per assistere all’ “evento”, visto che già pagano per guardare i bombardamenti su Gaza. Questa zona di confine slabbrato si chiama DMZ, Demilitarized Zone. Appena al di fuori di essa, è stata tracciata una ulteriore striscia intermedia, in cui esistono sparuti villaggi e residui di postazioni militari americane, la più nota delle quali si chiama Camp Greaves e negli anni ‘50 ebbe un ruolo fondamentale nella guerra che portò alla divisione delle Coree e a quella piccola, ma bruciante cortina di ferro asiatica che divise e divide famiglie e popoli. Oggi, anzi: fino a oggi, Camp Graves si poteva visitare accompagnati da gruppi organizzati, si entra nella zona DMZ, si lasciano i passaporti, e si visitano luoghi che raccontano un’altra delle mille pagine del libro dell’orrore e dell’infamia (altro che arte della guerra!) che accompagna l’umanità da Caino e Abele, per non dire da sempre. Camp Graves sta nella foresta, ed è costituito da bunker, edifici abitativi per le truppe e una palestra. In questa palestra lunedì 30 settembre e martedì 1 ottobre 2025 si sono riunite oltre 50 persone provenienti da Seoul, e un’altra dozzina dall’Italia, di cui 3 da un luogo che si chiama Cittadellarte. Dal soffitto della palestra pendevano 4 grandi drappi, uno riportava la definizione del Terzo Paradiso, un altro i nomi dei partecipanti e delle loro organizzazioni quasi tutte basate a Seoul, un terzo era la traduzione in coreano del primo e l’ultimo riportava la definizione del concetto della Demopraxia.

I partecipanti si sono radunati a gruppi di 10 attorno a 5 tavoli, e hanno discusso per due giorni su due linee di ricerca: Inclusione ed Ecologia, declinate lungo gli assi di 5 temi, SolitudineConfiniCuraResilienza e Praxis dove quest’ultima indica i modi concreti di affrontare i 4 ambiti suddetti. I convenuti pensavano che questi 5 temi insieme portassero a convergere verso la (Bio)Diversità e in un’ultima analisi alla Pace. A un certo momento tutti i partecipanti si sono impegnati in un rito creativo incentrato sul simbolo grafico che in quella palestra ricorreva sia nella dimensione visiva, sia in quella dei contenuti che venivano discussi, chiamato Terzo Paradiso, simbolo che la istituzione Cittadellarte ha lanciato nel 2003 come appello globale a mettere al centro delle proprie priorità e pratiche l’idea dell’equilibrio tra gli opposti, e procedere dunque a tutte quelle attività che costituiscono la pace ed evitano la guerra, in una parola alla pace preventiva, come dice l’artista ideatore del simbolo e fondatore di questa Cittadellarte, Michelangelo Pistoletto, che ha voluto nel 1998 darle il proprio nome con la denominazione di Fondazione Pistoletto. Il rito si è svolto come una performance partecipativa: è stato ricreato il simbolo con una grande corda e ciascuno dei partecipanti ha lasciato tre fogli di carta di gelso (preziosa e resilientissima carta tradizionale coreana) indicando su uno una questione in qualche modo problematica, impegnativa, su un altro foglio la questione sua opposta, e nel cerchio centrale (perché il simbolo è costituito da tre cerchi accostati di cui quello centrale doppio dei due laterali, tra loro uguali) un terzo foglio con un’istanza o proposta che fosse capace di riconciliare gli opposti depositati nei due cerchi laterali.

In conclusione del loro incontro e del confronto serrato nel corso di due giornate, queste persone, ognuna referente di una organizzazione impegnata sulle tematiche suddette, hanno parlato di un Cantiere, cioè di andare avanti a lavorare insieme, hanno presentato le loro idee e proposte di azione, alcune molto impegnative, altre molto prestamente fattibili. Uno di loro, il cui nome in qualche modo è illuminante, Sun, ha detto che vorrebbe lavorare con tutti i partecipanti per portare avanti il programma della sua associazione che riunisce transfughi della Corea del Nord, artisti in buona parte, per un obbiettivo molto chiaro: la riconciliazione delle due Coree; ha aggiunto che questo consesso gli ha dato ispirazione, incoraggiamento e – spera – maggiore possibilità di impatto, che vorrebbe andare insieme a noi alle Nazioni Unite e proporre l’istituzione di una Zona Speciale proprio in corrispondenza di questa DMZ.

La Direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura, Michela Magrì, che ha reso possibile e sostenuto questo evento, ha detto che dall’arte alla pace si può o meglio si deve arrivare passando di qui, da questo tipo di luoghi, di persone, e dall’artista Pistoletto e sopratutto da questa arte della Demopraxia. Ora, dicono gli organizzatori, si apre un Cantiere (come si chiama questa terza fase dell’Opera Demopratica, che segue la Mappatura e il Forum) che intende durare un anno in cui i gruppi dei diversi Tavoli si impegneranno a realizzare il proprio programma e a modificarlo come sembrerà loro opportuno, grazie alla guida della Curatrice Soik Jung che ha curato tutto questo, insieme alla sua co-curatrice Valentina Buzzi.

Io rientro adesso verso Biella, a Cittadellarte, dove vivo dal 2000, con ancora nel cuore lo stupore che ho provato (anche se non era la prima volta, ma in un qualche modo ogni volta è la prima perché è in contesto culturale completamente diverso) di fronte a cinquanta professionisti ispirati e esperti che mi parlavano della demopraxia come fosse una cosa reale che di fatto c’è da sempre nell’immaginario umano, lo dicevano a me, io che l’ho ideata, come filosofia e come progetto, e l’ho guidata a diventare un programma di lavoro, una realtà che accoglie l’intelligenza e la visione di persone la cui impronta di valore umano è così più grande della mia che sono solo riconoscente per tutto questo, riconoscente a tutti, sopratutto alla Fondazione Pistoletto senza la quale non sarebbe stato possibile.

E torno a Cittadellarte con la piena consapevolezza di ciò che stiamo facendo: fondiamo uno stato delle cose che crea modi di vivere insieme, quindi uno Stato non della ideologia politica o della religione o della convenienza dei pochi o dell’ego narcisista del despota tiranno o carismatico, ma uno stato della co-creazione, uno Stato dell’arte intesa come praxis del creare insieme, partendo dalla dimensione anche più intima di ciascuno, ma passando per il gruppo umano dove si vive e si costituisce la propria identità. La prima Costituzione di questo Statodellarte si scrive nel rapporto tra sé e chi vive con noi: possiamo costituirci come tiranni ricattatori o come maieuti che accompagnano la creazione altrui accanto a noi. E poi portare la nostra comunità di pratica a costituirsi anch’essa come elemento nodale di un’infrastruttura sociale che regge il lavoro, l’opus, l’opera della demopraxia, cioè l’esaudirsi effettivo della promessa che sia il popolo a governare se stesso, come implica il sogno racchiuso nel termine/concetto di democrazia.

Accolgo con un senso di placida accettazione la “coincidenza di Maia”, per così dire, che ancora una volta mi si svela: in questi giorni sono nella Zona Demilitarizzata tra Corea del Nord e Corea del Sud a lavorare con cinquanta organizzazioni di straordinaria visione e impegno riunite per realizzare un’idea di società che ho immaginato quindici anni fa, in questi giorni in cui 500 persone navigano in Flottilla verso la Striscia di Gaza (dovevo andare con loro e se non l’ho fatto è anche perché sono venuto qui) per aprire un corridoio umanitario nel corso di un genocidio che gli Stati (non dell’arte ma quelli nazionali) avrebbero tutti i mezzi e la legittimazione, ma meglio: il dovere, di fermare, e in questo stesso giorno questo luogo, Camp Greaves DMZ - che accoglie il Simbolo del Terzo Paradiso performato dai corpi e le esperienze dei partecipanti all’Opera Demopratica – cambia regime e apre alla visita libera, o meglio: meno restrittiva, di questi decenni, come recita la targa che dice “Dall’Armistizio alla Pace” e intanto ho chiesto a un amico, uno dei quasi 300 Ambasciatori del Terzo Paradiso che Cittadellarte con Saverio coordina, di andare per me a Kharkiv, a portare la nostra testimonianza e il Terzo Paradiso che sarà presentato negli spazi dell’Università di Arte e Design grazie alla missione del MEAN Movimento Europeo di Azione Non violenta, cui partecipo da alcuni mesi. Palestina, Ucraina, Coree, Cittadellarte e lo Statodellarte della Demopraxia.

Qualcuno chiede se pensi che ciò che facciamo abbia un qualche impatto sulla realtà; difficile rispondere. Ma chiedete al medico se crede che certe cose prevengano il male. In alcuni casi potrà fare riferimento a studi scientifici, statistici ed epidemiologici, ma tante volte la prevenzione non ha conferma plateale, non ha riprova conclamata e incontrovertibile: la riprova sta nel fatto che qualcosa non accade. Ma se non accade, come facciamo a vederlo e parlarne? La cultura della pace, come certe campagne di prevenzione sanitaria, si scioglie in migliaia di comportamenti e azioni che non sono visibili come un missile o una dichiarazione di guerra trasmessa in mondovisione. Per giudicare se la prevenzione sia efficace si fanno esperimenti in laboratorio e studi epidemiologici, ma non si possono fare esperimenti con la vita di milioni di persone e quindi quando si parla di pace tra i popoli bisogna usare l’immaginazione e studiare i dati sul campo: ci vuole impegnoascoltoricerca, tutte cose che facebook e l’informazione spettacolare e prezzolata (venduta alle pubblicità e alla raccolta dei dati, ciò che costituisce la gran parte dell’informazione che ci arriva dai principali canali). Immaginazione, studio, impegno: in una parola cultura. Vallo a spiegare a Trump, ai suoi seguaci e amici dello stampo dei sionisti alla guida di Israele, capaci di fare di tutta la Corea del Nord prima un campo di sterminio e poi una nuova Singapore con campi di golf e residenze lussuose, piste da sci indoor e resort dove cacciare i delfini e gli elefanti per farsi un selfie da 10.000 dollari.

Se mi permetto di dire queste cose, qualcuno si meraviglierà perché ci si aspetterebbe che chi parla di pace debba essere mite o remissivo di fronte alla violenza e arroganza di chi invece esercita la legge del più forte e semina guerra, ma ovviamente non è così, non lo è mai stato; ogni avanzamento nella libertà e nei diritti di cui godiamo oggi - sopratutto di cui cui godono i ricchi, tra l’altro, prontissimi a godere di ogni diritto a prescindere dalla sua origine - vengono da lotte ostinate e antipatiche: i pacifisti sono antipatici, sì, perché sono contrari (anti) al sentimento (patos) prevalente sostenuto dai potenti che predicano l’inevitabilità della guerra o addirittura spergiurano sulla guerra giusta, come Netanyahu e i suoi indegni precursori. L’antipatia è fatta di insistenza al limite dell’ossessione, perché non basta il cuore di pavido picchiatore fascista o gelido burocrate comunista per fare il partigiano sulle montagne o per partire con la Flotilla.

Serve il coraggio del leone e la convinzione di Gandhi o di Cristo, due persone antipatiche, che tanto hanno sofferto per la mano di chi governava dichiarando di rappresentare il bene del popolo, come oggi i nostri governi che invece di fare scudo alla Flottilla la attaccano e delegittimano, preparando l’ennesimo scempio da parte di Israele, coperto e protetto dalla mano prepotente e dispotica di un’America che non solo non è grande again, ma è orribile; tutt’altra cosa dell’America dei diritti sociali e delle opportunità senza discriminazione che tutti amiamo. La pace preventiva non farà facilmente una produzione tipo quella dei western che hanno raccontato lo sterminio degli indiani come una eroica epopea dei bianchi giusti contro i selvaggi, quella Hollywood che ci hanno ingenuamente propinato i nostri genitori succubi di una propaganda difficile da smascherare; la guerra fa mito e vende bene. La pace preventiva ha bisogno di lettori attenti e critici, non di leoni da tastiera frustrati e ignoranti. Per questo la demopraxia a Seoul come a Biella non funzionerà in quattro e quattr’otto come le partite di pallone o le sagre della birra: ci vuole tempo per comprendere e le persone non hanno tempo, devono servire i loro padroni nel telefono che ha fame di dati, devono rifarsi le labbra e comprarsi l’auto nuova, devono consumare e produrre per consumare, devono lavorare per pagare qualcuno che per lavoro stia con la loro madre e si occupi dei loro figli, devono farsi una striscia di cocaina o di social media, chiusi nel bagno dell’ufficio, per poi uscire con la sicurezza di chi non ha bisogno di imparare e non ha tempo di ascoltare, figurarsi di immaginare che il mondo possa essere diverso, magari più giusto e più bello.

Eppure a Camp Greaves ci sono oltre 50 referenti di altrettante organizzazioni, e vogliono percorrere quella strada che chiamiamo l’Opera Demopratica. E la stessa cosa succede a Ginevra e a Roma, a Gorizia e all’Avana… sono le città dove si realizzano dei Cantieri dell’Opera Demopratica. E si ritroveranno tutti a Venezia, il 21 ottobre, quando la Biennale di Architettura, negli spazi dell’Arsenale, sarà dedicata all demopraxia. E se vi sembra impossibile da fare e vi chiedete da dove iniziare, la risposta è semplice, si comincia da due, che mettendo insieme Troisi e Pistoletto, diventa treuno più uno fa tre, e da lì ricominciamo, un principio basilare che funziona così: trova un altro e con lei/lui discuti, parla e parlamenta, cioè prova a mettere delle regole, lo fanno anche i bambini nel campetto, e poi dai seguito, esegui come uno che abbia il ruolo esecutivo, di governo. Ed è così che senza quasi saperlo si diventa demospopolo organizzato nella dimensione civica, e ci si prende cura di ciò che si può decidere, il nostro cratos, il nostro potere, che possiamo esercitare non con la rivendicazione contro nessuno, ma solo attraverso la pratica di ciò che facciamo nel nostro tempo e con i nostri colleghi e compagni di strada.

Paolo Naldini, flying from Seoul back to Milan, October 2, 2025

Pubblicazione
02.10.25
Scritto da
Paolo Naldini