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Demopraxia: infrastrutturare lo Statodellarte

Martedì 21 ottobre, la "19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia" ha ospitato "Intelli_gens Demopratica", una giornata di studio e confronto delle opere demopratiche. Per (ri)scoprire quanto emerso, vi proponiamo il primo keynote speech dell'iniziativa: "Arte per infrastrutturare il sociale", a cura del direttore di Cittadellarte Paolo Naldini. "La demopraxia - ha affermato - non è una rivendicazione di diritti, perché parla proprio del governo che il demos esercita attraverso il sistema con cui sono organizzate, regolate e svolte le pratiche che costituiscono la nostra vita. Organizzare la vita della gente è governare".

Terza pagina

Sono 10 anni che attiviamo opere demopratiche nel mondo. Ne abbiamo realizzate oltre quaranta reiterazioni. In questo momento ve ne sono più di dieci attive; in ordine cronologico Cuba, Biella, Roma, Ginevra, Gorizia/Nova Goriza, Busto Arsizio, Seul, L’Aquila, Scanno, Londra, Parigi, Milano e Torino sono ancora in corso di conferma.
Ma che cosa sono le opere demopratiche? E in generale che cosa è la demopraxia?
Quando parlo di demopraxia, lì per lì nessuno mi capisce.
Non solo il concetto ma lo stesso termine non esisteva prima che lo inventassi. Il fatto è che praxis vuol dire pratica, e quando diciamo demopraxia mettiamo - nella parola democrazia - la pratica dove prima c’era il kratos, cioè governo.
Le persone a questo punto spesso pensano di avere capito: molti pensano che chi fa concretamente le cose, chi si impegna e lavora, chi materialmente opera nella realtà del suo contesto, abbia il diritto di decidere, cioè di governare.
Ma non è proprio così, anzi: la demopraxia non è una rivendicazione di diritti. La demopraxia parla proprio del governo che il demos esercita attraverso il sistema con cui sono organizzate, regolate e svolte le pratiche che costituiscono la nostra vita. Organizzare la vita della gente è governare. Chi svolge delle attività pratiche tende a influire su come la gente intorno a lui vive. Chiaramente qui non si parla delle pratiche solitarie, di ciò che le persone fanno come individui negli spazi di effettiva e reale singolarità che possediamo tutti, non fosse altro nella nostra intimità. Probabilmente anche queste pratiche, diciamo individuali, hanno un effettivo impatto sulla nostra vita. Ma la demopraxia si occupa di quelle pratiche che svolgiamo in gruppo. Questo fatto dei gruppi è alla base della mia teoria della demopraxia. In realtà, per la gran parte dei casi, nella nostra vita, noi svogliamo attività o pratiche appunto in gruppo. Quindi se ci occupiamo di queste pratiche svolte in gruppo, di fatto ci occupiamo di una parte molto importante della vita.

Che cosa resta fuori? Oltre alle pratiche individuali, ci sono le attività delegate attraverso forme di rappresentanza. Tra queste la più diffusa e incisiva è quella della vita politica svolta attraverso i rappresentanti politici. Quindi la demopraxia si occupa di tutto ciò che resta della nostra vita dopo che abbiamo tolto le pratiche individuali e quelle per rappresentanza. Potremmo dire che si occupa di ciò che sta tra le pratiche individuali e quelle delegate ai rappresentanti. È uno spazio grande, molto più grande di quanto pensiamo normalmente. Lo spazio del lavoro, degli interessi personali, delle vocazioni... Se ci pensiamo, in questo spazio tra la singolarità e la rappresentanza delegata restano abbastanza pratiche e attività da poterci tenere svegli la notte oppure al contrario darci una certa serenità nella vita.
Analizzando le pratiche che si svolgono in gruppo, si nota che una parte molto importante hanno quelle che svolgiamo per guadagnarci da vivere. La maggior parte di noi trascorre la maggior parte del tempo a fare ciò che gli consente di vivere; generalmente si tratta di lavoro. E poi ci sono le altre attività che svolgiamo perché siamo interessati, come quelle vocazionali, ad esempio fare parte di un’associazione di volontariato. E ci sono quelle ricreative, come l’attività sportiva o musicale. Quando svolgiamo queste attività ci troviamo insieme ad altre persone. Cioè le svolgiamo in gruppi, talvolta molto numerosi e complessi, talvolta composti da 3 o 4 altre persone.

In verità, anche la coppia può essere considerata come gruppo al cui interno svolgiamo importanti attività della vita. Per la teoria della demopraxia, la coppia segue le stesse considerazioni e comporta le stesse conseguenze che valgono per il gruppo dei colleghi di lavoro o dei compagni di squadra. Queste attività, in particolare quelle professionali, portano al fatto che noi ci uniamo ad altre persone per una parte importante della vita. Per molti di noi si tratta della maggior parte del tempo diverso dal riposo. Quindi la maggior parte della vita della maggior parte delle persone viene trascorsa in gruppi e in questi gruppi ci sono regole che determinano direttamente un impatto sulla nostra vita. Per questo nel 2012 mi sono detto: ma allora viviamo continuamente in piccoli parlamenti e microgoverni!

La vita reale e pratica delle persone è fatta di un continuo governare e parlamentare, anche se pochi di noi sono il presidente di questo governo o il leader del parlamento di cui facciamo parte nel posto di lavoro per esempio. Difficile dire in quale esatta misura questi microgoverni contano rispetto al governo istituzionale che organizza la vita collettiva, cioè rispetto al governo dello Stato o del Comune in cui viviamo, ossia al governo istituzionale della collettività.
Ma la demopraxia non è una scienza esatta né una contabilità. È una teoria sociopolitica. Si fonda sul riconoscimento che il governo del popolo (il kràtos del dèmos, per usare la formulazione derivata dal greco antico) passa anche attraverso i gruppi che uniscono le persone in base alle attività che svolgono, in base alle pratiche che questi gruppi organizzano. E attenzione: non in base alle ideologie, alle credenze, alle appartenenze religiose o identitarie più o meno fictional. Quindi attraverso la demopraxia prendiamo atto di una realtà spesso negata. Cioè che il governo della nostra vita passa anche in maniera rilevante dai gruppi cui partecipiamo nel quotidiano e nella pratica.
Questa idea non è una proposta. È la descrizione di come funziona un fatto, il governo della vita. È una fenomenologia, non un ideale.

Quando diciamo demopraxia, quindi, diciamo che il governo del demos passa anche attraverso le pratiche che le persone svolgono nei gruppi in cui trascorrono la gran parte della loro vita. Uno può chiedersi se non fosse così anche in passato. Certamente lo era prima del capitalismo e del modernismo quando la struttura sociale era clanica, cioè appunto fondata sui gruppi. Ed era clanica perché la produzione della sussistenza per la vita era organizzata in piccoli gruppi guidati da un pater familias. Con l’arrivo dell’industria il clan si è disgregato: le macchine chiedevano di essere operate da una persona singola indifferentemente dalla sua appartenenza a un gruppo o clan. L’individuo sorgeva come la pedina del sistema economico in quanto era lo standard del fattore produttivo lavoro, cioè della pratica. La dialettica lavoratori e capitalisti si fondava sul fatto che effettivamente il sistema di produzione teneva avvinti i due: avvinti e spinti in avanti dalla grande onda del progresso, un’onda di Hokusai che ha determinato il ‘900, ma è partita molto prima.

Ora tutto è cambiato: l’idea dell’individuo produttivo e consumista si è rivelata fallimentare. Seguendola finiremo per estinguerci. Qualcuno andrà su Marte e sopravviverà nei suoi resort orwelliani, ma gli altri periranno, a meno che cambiamo radicalmente paradigma di fondo.
E passiamo dall’era dell’individuo (lupus) a quella del gruppo. Anche il gruppo può essere lupus, gruppo tiranno, e dunque non sarebbe un gran guadagno passare dall’individuo tiranno alla tirannide oligarchica. L’unico modo per garantire che le derive autoritarie siano controbilanciate è mantenere sempre attivo il metodo della creazione attraverso il confronto tra opposti: 1+1=3, la trinamica, la sintesi dialettica, la generazione e rigenerazione. Anche quando si raggiunge un risultato che pare soddisfacente, non si potrà esimersi dall’applicare la formula della creazione, cioè accostare al risultato stesso un fenomeno a esso opposto o per lo meno diverso.

L’autoritarismo incontrerà dunque altri metodi e sistemi. Lo stesso farà anche il migliore e più desiderabile dei sistemi che avremo magari raggiunto. Questo procedere è l’unico che impedisce la sclerotizzazione e l’autoreferenzialità degli organismi, che siano i partiti o le imprese o i regimi sociali. Dunque, non basta riconoscere e promuovere la coscienza di governo nei gruppi che formano la società, occorre metterli in connessione l’un l’altro nella dinamica del confronto generativo, dell’esercizio dello scambio e della co-creazione. Dunque i fondamenti di questo stato delle cose che constatiamo e che vogliamo far emergere nella sua piena realizzazione sono la Demopraxia e il Terzo Paradiso, che è l’applicazione della formula della creazione alla natura e alla tecnica.

A che cosa ci servono questi fondamenti? A riparare la infrastruttura sociale. Ora che sono decaduti i paradigmi del progresso e dell’individuo, entrambi fondati sulla prospettiva rinascimentale della conquista lineare e progressiva dello spazio. Con i paradigmi della demopraxia dei gruppi (che chiamiamo più precisamente comunità di pratica) e della formula evolutiva circolare del Terzo Paradiso poniamo le fondamenta di una infrastruttura sociale nuova e solida.
L'architettura sociale per gruppi/comunità di pratica diventa il segno dei tempi e la chiave di svolta di questa nostra età di passaggio. Come si istituisce questa infrastruttura? Si passa attraverso tre fasi: la consapevolezza o coscienza di governo (attuata con la mappatura); l’interconnessione nell’interdipendenza (attuata con la mostra e il forum, tra autonomia e dipendenza); attuata con il cantiere, è il raccordo con le istituzioni e l’innesco della circolarità tra pratiche e policies, tra comunità di pratica e istituzioni.
Giovedì scorso ho incontrato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: quando gli ho presentato in mezzo minuto il funzionamento di un’installazione del Terzo Paradiso nel nuovo museo della FAO a Roma, come dispositivo per fare incontrare le comunità del cibo e co-creare - a partire dalle pratiche - proposte di policies insieme alle istituzioni, mi ha detto che per lui è "una visione incoraggiante".

La prima fase - consapevolezza o coscienza di governo - l’abbiamo avviata e sperimentata in oltre 30 casi, in una ventina di città. La seconda - l’interconnessione nell’interdipendenza - oggi trova un passaggio importante: per la prima volta, ci confrontiamo tra opere demopratiche, ma soprattutto, per raggiungere questo obbiettivo, dell’interconnessione in un sistema complesso, abbiamo fondato lo Statodellarte, ne abbiamo redatto una prima Costituzione, e stiamo dando vita agli organi dello stesso. La terza fase, quella del raccordo con la democrazia, cioè con il funzionamento delle istituzioni che governano la nostra vita, è in nuce, oppure è già attiva solo nelle singole opere demopratiche, ma proprio con la istituzione dello Statodellarte diventa praticabile nella completezza di un sistema sociale infrastrutturato.
I modi e le forme sono ancora da definire, o meglio, direi da inventare insieme. Dunque si tratta di fondare e mantenere o manutenere l’infrastruttura dello Statodellarte, che è di fatto una appartenenza sociale e civica e politica basata sull’arte della demopraxia. In quest'ultima l'arte, come creazione, è fonte di libertà e dunque di responsabilità. La demopraxia, è intesa come forma del costituire società emancipata dal pregiudizio capitalista individualista, perché fondata sulle pratiche svolte nei gruppi.

Cosa si è visto e si è fatto oggi? Abbiamo intessuto interdipendenza tra questi primi capitoli demopratici. Le ho chiamate opere, in riferimento alla loro dimensione di pratica ma anche di arte, opere situate in contesti molto diversi, e da questa diversità deriviamo sguardi sulla possibile estensibilità di questa infrastruttura a realtà culturali e socio economiche anche molto diverse. Abbiamo infine esplorato come la Costituzione dello Statodellarte preveda di ingaggiare nell’infrastruttura demopratica le strutture sociali delle comunità di pratica a cominciare dalle imprese e dalle varie forme di associazione.

Paolo Naldini

Per riscoprire l'evento Intelli_gens Demopratica è possibile leggere un nostro precedente articolo.
Pubblicazione
23.10.25
Scritto da
Paolo Naldini