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Let Eat Bi, un Terzo Paradiso di cibo sano e locale in terra biellese
"Con il il mercatino e il catasto solidale mettiamo in luce gli agricoltori locali e i loro prodotti". Intervista ad Armona Pistoletto, presidente dell'associazione incentrata su nutrimento e condivisione delle terre "abban-donate".
Nutrimento
Com'è nato Let Eat Bi?
In principio avevo idea di creare un progetto che potesse sfruttare e ridurre i terreni abbandonati, dando possibilità ai produttori locali di lavorarci. Insieme a Gigi Spina, ricercatore interessato a queste tematiche, ci incontrammo e demmo vita a Let Eat Bi. Inizialmente conoscemmo le realtà presenti nel territorio, creando legami e collaborazioni con agronomi e produttori locali. In seguito, grazie all'aiuto di uno dei nostri volontari (un commercialista), siamo diventati un'associazione. Questo è stato un passo fondamentale per essere riconosciuti e per poter svolgere le attività che ci eravamo prefissati.
Quale significato ha il nome dell'associazione?
L'idea di chiamarla"Let Eat Bi" è nata da Gigi Spina. Lui illustrò varie proposte, ma questo nome molto significativo mi colpì subito. Oltre al richiamo alla celebre canzone dei Beatles, è evidente il collegamento al nostro territorio ("Bi" deriva da Biella) e al cibo ("Eat", dall'inglese il verbo to eat, che significa mangiare).
Quali obbiettivi si è posta con il suo progetto?
Il nostro gruppo, tra agronomi e aziende agricole, è nato dal basso come necessità del territorio, dal bisogno di un luogo che fosse fuori dalle parti. Let Eat Bi è stato identificato come progetto ideale; in precedenza ognuno era confinato al proprio orto, senza alcun tipo di condivisione. Con l'associazione, invece, abbiamo voluto mettere in rete le realtà biellesi, collegandole tra loro e dando la possibilità di fare progetti condivisi.
A quali iniziative sta lavorando?
I progetti più importanti riguardano il catasto solidale e l'anagrafe solidale, già molto attivi visto che ci sono tre terreni in funzione. Speriamo di arrivare, nel tempo, a decine di campi, per dare grande impatto all'iniziativa nel biellese. Curiamo anche l'accademia verde: è un altro progetto che stiamo portando avanti, si tratta di incontri, di "per-corsi" con agronomi o esperti del territorio. In questo caso non chiamiamo l'esperto da fuori Biella che insegni come lavorare sul territorio, ma vogliamo far insegnare chi è già in zona, facendogli condividere le sue esperienze e il suo sapere.
Come mettete a disposizione del pubblico i prodotti?
Grazie a uno speciale mercatino, dove vendiamo i frutti della terra dei partner. Al momento VegaGé se ne sta occupando; è una piccola produttrice che abbiamo conosciuto grazie al catasto solidale. È possibile acquistare i prodotti che ci vengono lasciati o i nostri collaboratori possono venire a vendere di persona. Per quanto concerne gli orari, siamo aperti il venerdì dalle 17.30 alle 19 e il mercoledì dalle 10.30 alle 13.30.
Come si diventa partner Let Eat Bi?
Ci sono degli appositi dossier da compilare per produttori, agricoltori, cooperative, associazioni e per chi fa la somministrazione. Chiediamo come e dove producono, oltre a tutte le informazioni importanti. Anche se non hanno una certificazione biologica, possono redigere una dichiarazione di non utilizzo di prodotti chimici nei terreni; questo per dare una sicurezza al cliente di comprare prodotti di qualità.
La vostra associazione si è impegnata con le scuole, come volete sviluppare questo aspetto?
Sarebbe bello organizzare altri progetti di alternanza scuola lavoro, il primo con la gastronomia Mosca 1916 è andato molto bene, c'è stato grande entusiasmo da parte degli alunni. Vorremmo ripetere quest'esperienza, identificando i partner adatti per l'iniziativa. Sarebbe importante riuscire a sviluppare anche un'iniziativa nei campi con gli immigrati presenti nel territorio, seguiti da un agronomo.
Tra i principi cardine di Let Eat Bi c'è il nutrimento, quanto è importante mangiare sano?
Senza dubbio è un aspetto fondamentale; cibarsi con alimenti locali e stagionali dà la possibilità di ammalarsi meno e stare meglio, sia fisicamente sia psicologicamente. Non si tratta solo di mangiare, ma di dare vita al territorio in cui abitiamo, per far sì che i produttori locali del nostro territorio non muoiano, ma che continuino a svilupparsi e coltivare.
Che significato ha trovarsi a Cittadellarte?
Essere nel contesto della Fondazione Pistoletto è importantissimo. Questo perché permette ai produttori di avere a disposizione un luogo "neutro"; non siamo, infatti, un'associazione di categoria con interessi personali o commerciali. Si rivela significativo anche per Cittadellarte, perché portiamo un esempio concreto di ambasciata del Terzo Paradiso, un progetto di cambiamento sociale e di inclusione nato a Biella.
Il simbolo del Terzo Paradiso è presente anche nel logo di Let Eat Bi, come sono collegati?
Il Terzo Paradiso ha come concetto fondamentale quello di creare equilibrio tra natura e artificio, portando cambiamento e rinascita; Let Eat Bi è proprio un esempio pratico che rispecchia questo concetto. In questo senso l'arte è legata a un progetto reale e vuole entrare nella società, fino a essere utile per un cambiamento responsabile.
Quali sono le prospettive del suo progetto?
Innanzitutto che funzioni bene a Biella. Un grande obbiettivo sarebbe quello di arrivare a cento campi di catasto solidale e anagrafe, facendo diventare il mercatino un punto di riferimento per il territorio. Altra mission sarebbe sviluppare e potenziare l'accademia verde, magari collegandola con il futuro corso di Diploma Accademico in Social Innovation Design. Un grande traguardo sarebbe vedere l'associazione sviluppata a tal punto da diventare una possibilità lavorativa per qualche giovane. A livello pratico non sarà facile, per ora il direttivo è formato da otto persone che sono molto impegnate. In ogni caso, la sottoscritta insieme alla stagista Francesca, continuerà a lavorarci per far sì che tutti i progetti si possano realizzare. Sarebbe fantastico se Let eat Bi si espandesse e diventasse un modello di emulazione in altre città.