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Riflessioni sulla crisi russo-ucraina: i soliti Napoleoni e nessun nuovo Gandhi
Guerra, pace, politica, solidarietà, arte, vita e morte: vi proponiamo un editoriale di Paolo Naldini, direttore di Cittadellarte, sul conflitto in atto tra Russia e Ucraina. "Sono sgomento, ma non stupito - ha affermato - da Putin, leader autarchico che agisce senza scrupoli, determinando tragedia per migliaia e migliaia di persone, che la storia ci insegna essere troppo comune, e sono sgomento e anche stupito da Zelens'kyj, pronto a guidare il suo popolo e molti altri uomini e donne, forse persino il mondo intero, alla guerra e alla morte nel nome di ideali come la patria, la libertà, l'autonomia o l'indipendenza e così via. Sotto queste bandiere siamo morti e abbiamo ucciso troppe volte".
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Sotto queste bandiere siamo morti e abbiamo ucciso troppe volte. Pensavamo di avere messo alle nostre spalle narrazioni mortifere come queste, credevamo che la potenza della non violenza e le arti della diplomazia internazionale dopo un '900 di orrore e sangue ci avrebbero tenuti lontano da queste derive che risuonano di aspetti paranoici e psicotici. Ma già avevamo dovuto ritrovarle nei deliri di Karadžić e Milošević. Mi immagino, in queste settimane di smarrimento scatenato da questa tragedia, che cosa farei nell'ipotesi di fantapolitica che la Francia invadesse l'Italia per ‘riprendersi’ la Savoia. In nome della patria o dell'unità nazionale o della libertà non imbraccerei il fucile per sparare contro un altro umano, non mi schiererei in una guerra da cui non potrà venire altro che dolore e orrore. Accoglierei i francesi e le loro truppe armate in preda alle droghe, all'alcol e alla liturgia sfrenata della nostra natura irrazionale che sempre accompagna le guerre nella totale e incondizionata loro ignobiltà; li accoglierei, sì, ma se avessi il coraggio, protesterei pacificamente per la convivenza e il rispetto dei diritti umani. Se ne avessi la capacità, mi rivolgerei ai tribunali internazionali, ma soprattutto mi prodigherei affinché nessuno imbracciasse un'arma.
Che cosa sarebbe successo se Volodymyr Zelens'kyj avesse seguito l’esempio di Gandhi? Perché ha ritenuto meglio trascinare verso la morte il suo popolo e invocare la guerra chiamando i suoi alleati a scatenare una Terza Guerra Mondiale? Ma la vera domanda che mi turba in queste settimane, e che spesso ritrovo in me da quando ho lasciato l'infanzia, è che cosa posso fare per arrivare alla radice di questo male: non dico per curarne gli effetti tragici, che è quanto vedo fare quotidianamente da donne e uomini straordinari nelle ONG per la pace e l'aiuto e nei consessi internazionali impegnati per i diritti umani. Dico proprio come agire per arrivare là dove la mente di un uomo come Putin e dei suoi milioni di seguaci, soldati e intellettuali, e gli uomini di potere del suo apparato, viene colonizzata da pensieri, idee, pulsioni, capaci di annullare l'umanità degli altri. Fino ad assumerli soltanto come mezzi e mai anche come fini, parafando la celebre formula kantiana. Come può la cultura liberare la mente delle persone e delle società da questi costrutti spietati e perversi? Come può l'arte fabbricare antidoti capaci di neutralizzare gli effetti di questi virus che conquistano lo spirito di una persona e poi si diffondono come un contagio epidemico a un'intera società?
Martha Nussbaum dice che l'arte può contribuire direttamente a formare una società pacifica, democratica e vitale, perché attraverso l'esperienza artistica vediamo e sentiamo il mondo attraverso gli occhi e lo spirito degli altri, e dunque riconosciamo in loro noi stessi e noi in loro; in questo senso, intendo le famose parole di Fëdor Michajlovič Dostoevskij sulla bellezza che salverà il mondo: non l’estetica del bello fine a se stesso, ma l’estetica che coniuga un’etica salvifica, un’etica di accoglienza e pace, di intesa e crescita, di conflitto come possibilità di apprendimento e superamento, di lotta come miglioramento o soluzione rispetto ai problemi che ci attanagliano, di unione e connessione con ogni forma di vita nel proteggere noi stessi e l’altro dal dolore. Ma queste domande, oggi, come possiamo affrontarle mentre cadono le bombe, si scavano le fosse comuni, si allargano i fronti di guerra, ci si arma e si parte per combattere? Forse oggi non resta che unirsi a chi si occupa concretamente di aiutare chi soffre con ogni mezzo possibile. Ognuno di noi, sono certo, ha domande pressanti a cui però non può rispondere ora, perché non c'è tempo. Ma verrà il giorno in cui potremo parlarne? Verrà il tempo in cui potremo coltivare gli antidoti? Saremo capaci di dirigere gli investimenti delle nostre energie migliori e delle nostre finanze verso l'industria della pace, la cultura e l'arte? È una scuola, questa che Pistoletto definì come ‘pace preventiva’, che ci siamo lasciati sfuggire, portare via anno dopo anno, giorno dopo giorno. Quando non resta altro che l'ideale di una patria da difendere con la vita e la morte degli altri è ormai troppo tardi per gli antidoti. È il tempo della Croce Rossa, che non distingue nel campo di guerra da quale parte stanno i feriti.
Potrei accettare che la mia cosiddetta patria fosse occupata dallo ‘straniero’ (ma poi che cosa vuol dire straniero?) piuttosto che anche un solo soldato o civile in più sparasse per uccidere o fosse ucciso dallo sparo di un altro. Ma sono solo il direttore di una fondazione d’arte contemporanea. Cosa farò? Cercherò di aiutare concretamente, se riuscirò, direttamente o contribuendo allo sforzo delle organizzazioni umanitarie. Ma certamente sarà ora ancora più forte il mio impegno per liberarci dal contagio di questo virus mentale e culturale che si respira ovunque oramai. Un virus che ha le sue varianti. La sua forma originaria è l’accecamento della nostra compassione di fronte alla prospettiva di guadagno e di potere, il prosciugamento dell’empatia, la cancellazione della capacità di sentire gioia dalla gioia degli altri, che pure i neuroni specchio offrono alla nostra fisiologia. E poi ci sono le varianti di questo virus, che si manifestano in mille modi, spesso infidi e invisibili, o travestiti, come il votarsi al sacrificio contro il Male, il senso del disgusto per il nemico, l'odio di lui/lei e anche di noi stessi, che siamo disposti a vedere immolarsi contro le bombe, i missili, i Kalashnikov.
Sento con piena certezza che la libertà e la responsabilità dell’arte ci possono aiutare contro questa affezione. Il creare e prendersi cura del creato costruisce spazi di pace, di possibilità e generatività. Non di guerra.